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Massimo Mastrogregori – I due prigionieri, Gramsci, Moro e la storia del Novecento italiano – 2008

Massimo Mastrogregori
Genova, Marietti, 339 pp., euro 22,00

Anno di pubblicazione: 2008

Non è facile presentare questo volume, che nasce da una serie di lezioni del 2005 e conserva di queste lo stile discorsivo. Anche grazie a tale stile, l’avvicinamento fra Gramsci e Moro proposto dall’a. non viene condotto in modo rigoroso e stringente. È una scelta felice. Mastrogregori è, infatti, consapevole di avvicinare in questo volume non solo «due storie diverse» ma anche «due tempi diversi; due mondi diversi». Egli nota però «analogie e comparazioni» che emergono soprattutto dall’analisi delle fonti. Gramsci e Moro, infatti, pur non essendo storici, «ragionano però in modo storico, nel pieno dell’azione politica e perfino in prigione, o in vista della fine». L’analogia più eloquente tra queste due figure è costituita dalla drammaticità della condizione di prigionia riservata ad entrambi e che prelude, pur in modi diversi, alla loro fine. Non si tratta, infatti, di un mero pretesto narrativo: tale condizione umana ed esistenziale ? pur con un’evidente matrice politica ? diventa una chiave di lettura attraverso cui guardare alle vicende decisive che si svolgono «all’esterno».Prima di giungere agli scritti della prigionia, però, il libro ne prepara lungamente la lettura, ricordando momenti e situazioni della storia italiana nel cui contesto si sono poi collocati gli esiti drammatici delle parabole di Gramsci e Moro. Anche in questo caso, cruciale appare la scelta delle fonti. Emerge, ad esempio, una visibile inclinazione «letteraria» a cogliere la sostanza dei problemi politici attraverso il filtro di testi che illuminano momenti od aspetti apparentemente marginali ma in realtà evocativi. È il caso della nota «leggenda» dall’incomprensibilità del linguaggio moroteo, ripercorsa attraverso i romanzi di Fruttero e Lucentini, i fumetti di fantascienza degli anni ’60 e gli acuti giudizi di Pasolini, per richiamare il sistema politico di cui Moro fu uno dei principali artefici. La discontinuità politica tra Moro prima del ’68 e dopo il ’68 viene invece resa attraverso la percezione della figlia che scopre il padre improvvisamente disoccupato dopo le elezioni politiche di quell’anno: il filtro dell’affetto familiare apre la strada alla comprensione dell’inatteso rovesciamento di una sconfitta politica in un ritorno di Moro ad un ruolo di primo piano, rafforzato da una comprensione nuova della realtà italiana.Non avrebbe senso chiedersi quali risultati e, in particolare, quali «novità», nel campo delle conoscenze storiche, proponga questo volume. Come si è detto, infatti, l’attenzione è concentrata soprattutto sulle fonti e sulle scelte compiute dal professore-autore-narratore nel loro utilizzo. Se, abitualmente, il lavoro dello storico resta nascosto ed è incorporato, per così dire, nei risultati della sua ricerca, qui appare invece in primo piano e molte pagine propongono uno spaccato di tale lavoro mentre è in corso di svolgimento.

Agostino Giovagnoli