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Massimo Moraglio – Storia delle prime autostrade italiane (1922-1943). Modernizzazione, affari e propaganda – 2007

Massimo Moraglio
Torino, Trauben, 259 pp., Euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2007

Quando nel settembre 1925 la prima autostrada italiana – la Milano-laghi – venne aperta, era «desolantemente vuota» (p. 66). Quella strada dove non passava nessuno, ma basata su un concetto avveniristico – la destinazione al solo trasporto a motore – era lo specchio dell’Italia fascista. Il fascismo produsse un enorme sforzo in chiave di modernizzazione delle infrastrutture di trasporto, puntando tutto sui primati, stradale e ferroviario, che costituivano un formidabile strumento di propaganda per un regime autoritario. Le prime autostrade da un lato e dall’altro il non meno sbandierato primato di velocità ferroviaria, ottenuto nel luglio 1939, rappresentarono due conquiste ritenute straordinarie. La vicenda autostradale italiana fra le due guerre, sviluppatasi in presenza di una motorizzazione stentata ed asfittica, può essere letta anche in modo da far prefigurare una sorta di anomalo intervento dello Stato nell’economia. È possibile tracciare una parabola che si muove da una chiara aspirazione imprenditoriale e che termina invece fra le braccia dello Stato, che finirà per riscattare i vari tratti entrati in esercizio. L’iniziativa privata fu alla lunga fallimentare sia per il mancato decollo dell’automobile sia per i troppo ottimistici piani finanziari delle varie società. La svolta sta, come per molti altri settori economici, negli anni ’30, quando si assiste ad un cambiamento di scala dei progetti, che da locali o regionali cominciano ad assumere connotati nazionali e continentali. Numerosi furono i progetti autostradali elaborati nel corso del decennio, che interessarono l’intera Europa. Il grande piano autostradale studiato nel 1934, pur rimanendo sulla carta, costituirà la base del successivo sviluppo dell’epoca del boom. La storia delle prime autostrade italiane è inscindibilmente legata ad un personaggio di grande caratura, che nel libro spicca come protagonista. Piero Puricelli svolse un ruolo decisivo per tutto l’arco del ventennio. Amico di Mussolini, possedeva il profilo tipico di tecnico portatore di cultura nazionalista e competenze, che il fascismo esaltò per potenziare il paese. Fu un ingegnere e un imprenditore visionario e spregiudicato, autore di una serie innumerevole di progetti, a partire dalla Milano-laghi per giungere al disegno di una rete europea. In definitiva, come l’a. sottolinea e dimostra a più riprese, il capitolo autostradale italiano fu pieno di chiaroscuri. Si trattò indiscutibilmente di un’esperienza pilota, di cui Moraglio coglie la piena validità, gravata però da una fatale incoerenza fra le differenti iniziative, frammentarie e disorganiche, e dall’assenza di una valutazione complessiva di opportunità economica e funzionale. L’impostazione confusa e l’arretratezza del contesto economico non riuscirono a conferire ai concetti di «automobilismo» e di «motorizzazione» uno spessore pienamente industriale e commerciale. Occorre riflettere però in che misura, probabilmente ampia come suggerisce lo stesso Moraglio, contribuì a preparare la svolta autostradale del secondo dopoguerra, anticipando la nuova idea di trasporto individuale.

Andrea Giuntini