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Matteo Gerlini – Sansone e la Guerra fredda. La capacità nucleare israeliana fra le due superpotenze (1953-1963) – 2010

Matteo Gerlini
prefazione di Ennio Di Nolfo, Firenze, Firenze University Press, 126 pp., € 13,9

Anno di pubblicazione: 2010

Il libro, esplicitamente realizzato mediante il «consumato metodo della giustapposizione dei documenti diplomatici» (p. 15), è il tentativo di offrire un punto di vista innovativo sia sulla vicenda del progetto nucleare militare israeliano, sia dei rapporti fra le dinamiche del Medio Oriente e la guerra fredda. Un tentativo, in quanto Gerlini è costretto a basarsi su una documentazione americana ancora in parte segreta e su una bibliografia dichiaratamente eterogenea, pur trovando conforto nelle sempre ricche fonti britanniche (purtroppo citate in nota troppo sinteticamente) e in un’ampia scelta di documenti editi.Le tesi forti, più innovative rispetto alla storiografia, paiono essere due: i paesi arabi erano seriamente preoccupati delle attività atomiche israeliane; l’Amministrazione Eisenhower non era «inconsapevole» rispetto ai piani militari del governo di Tel Aviv. Nel primo caso i documenti inediti visti dall’a. dimostrano in modo del tutto convincente la tesi, per lo meno per quanto riguarda la percezione americana del problema. Nel secondo caso, pur in presenza di indizi significativi, le informazioni presentate non paiono fornire premesse sufficientemente certe per cui dedurre senz’altro la «consapevolezza» dell’Amministrazione Eisenhower. Così Gerlini constata che dal dicembre 1960 gli Usa trattarono Israele come uno Stato nucleare, ma ne analizza le posizioni a prescindere dal «concreto grado di sviluppo del programma militare israeliano» (p. 18). Del resto, il fatto che la Francia avesse interrotto la cooperazione nucleare con Israele e avesse chiesto ispezioni internazionali al sito di Dimona – come risulta dai Documents diplomatiques français citati – era coerente con la politica mediorientale di de Gaulle e con il blocco imposto a tutti i programmi di collaborazione nucleare, come precisa Gerlini.Se dunque le ragioni dell’ambiguità imposta dagli americani restano «difficilmente decifrabili» (p. 74), il libro mostra in modo efficace come Ben Gurion cercò di sfruttare tale situazione per ottenere dagli americani armi avanzate per la difesa aerea (che Gerlini mette senz’altro in relazione alla presenza di siti atomici sul territorio israeliano) e la formalizzazione di uno speciale rapporto di alleanza. Il lavoro offre poi una serie di spunti impliciti interessanti (i paralleli con le attività nucleari indiane, il crescente ruolo delle industrie private americane, ecc.) e dovrebbe essere esteso, così da poter analizzare anche la cooperazione nelle applicazioni civili dell’energia atomica, cui l’a. ha dovuto rinunciare per ragioni di spazio e non di metodo. Infine, la ripresa e l’estensione di questo volume andrebbero probabilmente a corroborare l’idea di fondo di una periodizzazione diversa, anticipata rispetto alla scansione comunemente accettata, dei rapporti fra guerra fredda e conflitto mediorientale, che nel caso presente – come nota nella prefazione Ennio Di Nolfo – è più un’ipotesi di lavoro che una conclusione certa.

Mauro Elli