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Matteo Pasetti (a cura di) – Progetti corporativi tra le due guerre mondiali – 2006

Matteo Pasetti (a cura di)
Roma, Carocci, 254 pp., euro 23,80

Anno di pubblicazione: 2006

A più di sessant’anni dalla fine dell’esperienza fascista in Europa, il corporativismo continua ad essere un oggetto più spesso evocato che studiato e i cui contorni rimangono vaghi, malgrado la larga circolazione del concetto e la non meno larga fascinazione che esso ha prodotto, non solo a destra e non solo nel periodo tra le due guerre. In questo senso, il ritorno di interesse su questo tema, confermato da diversi studi apparsi negli ultimi mesi, non può che essere benvenuto. Tanto di più se, come in questo caso, si cerca di riflettere sulla circolazione di idee corporative e in parte anche di pratiche in Europa e non solo. Il volume a cura di Matteo Pasetti, esito di un convegno organizzato un anno e mezzo fa all’Università di Bologna, ha molti meriti, anche se non sfugge ai limiti che spesso hanno questo tipo di raccolte: la farraginosità, la scarsa omogeneità degli interventi, tanto nei temi, che nel tipo di interpretazioni del fenomeno. È tuttavia un libro su cui appare opportuno soffermarsi, per la ricchezza degli spunti e per l’interesse della maggior parte dei saggi in esso contenuti. Questo volume, diviso in quattro parti (La Grande guerra e la riscoperta del corporativismo; Propaganda e circolazione di soggetti corporativi; Modelli istituzionali e pratiche corporative; Uno sguardo oltreoceano: riflessioni sull’esperienza brasiliana) ha un nucleo forte relativo all’esperienza italiana e a quella portoghese, laddove più sfocate appaiono l’esperienza slovacca, evocata in uno dei saggi, e, tutto sommato, anche l’esperienza brasiliana cui è dedicata l’ultima parte e che sembra seguire piste e domande parzialmente dissonanti da quelle del resto della raccolta. La riflessione sulle esperienze portoghesi e italiane viene svolta in maniera interessante, perché dalla giustapposizione dei saggi si riesce ad evincere non solo il parallelismo ? non privo di differenze ? tra i due casi, ma anche la natura dell’influenza dell’esperienza italiana sul Portogallo e il modo in cui la circolazione del corporativismo si è fatta concreta attraverso l’analisi di veri e propri «mediatori culturali» tra i due paesi. Non meno forti appaiono però le differenze tra i due casi: laddove l’esperienza italiana si pone infatti come un corporativismo di Stato più complicata appare la questione in Portogallo, dove non esiste neppure il tentativo di statalizzare la costituzione di corporazioni. Complessivamente, comunque, la parte più interessante di questo collettaneo, proprio per le potenzialità aperte dalla comparazione tra i due paesi, è quella in cui si cerca di tracciare le radici ideologiche del corporativismo in un’Europa liberale incapace di trovare legittimità di governo. In questo senso, il corporativismo di cui si parla in questo libro continua ad apparire maggiormente la risoluzione di un problema politico e giuridico piuttosto che sociale. L’evocazione del caso francese di Vichy apre inoltre interrogativi sulle aporie di un pensiero di sinistra che comincia a concepire la possibilità di avvicinarsi al corporativismo.

Giulia Albanese