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Maurizio Bossi, Claudio Greppi (a cura di) – Viaggi e scienza. Le istruzioni scientifiche per i viaggiatori nei secoli XVII-XIX – 2005

Maurizio Bossi, Claudio Greppi (a cura di)
Firenze, Olschki, pp. LIV-380, euro 40,00

Anno di pubblicazione: 2005

Venti saggi ripercorrono il legame tra viaggi e conoscenza scientifica tra l’età di Bacone e quella di Darwin, tra la nascita delle accademie nazionali e il trionfo della scienza istituzionalizzata e professionalizzata sul dilettantismo onnivoro e autonomo. Sono temi cari al Centro romantico del Gabinetto Vieusseux, sede nel 1997 di un convegno da cui hanno preso le mosse i contributi qui presentati.
Per due secoli i viaggiatori ? militari, mercanti, aristocratici, religiosi col gusto dell’erudizione ? sono stati una componente essenziale della repubblica savante: a loro si dovevano le informazioni che legittimavano le teorie degli scienziati ?a tavolino? e i piani d’intervento dei riformatori. Chi studiava in loco natura e società meritava ancora in pieno ‘800 la gratitudine e il plauso dei compatrioti (Bossi). Linneo e Condorcet avevano raccomandato di raccogliere e catalogare i dati in modo rigoroso, secondo gli standard più aggiornati. Il viaggiatore-scienziato-patriota andava dunque guidato: a tal fine rispondevano le istruzioni, un vero e proprio genere le cui evoluzioni, analizzate da Collini e Vannoni, rispecchiano lo stato dei rapporti tra i capofila delle varie discipline e gli osservatori. Muovendosi nel solco della sociologia di Latour, gli autori inquadrano i casi di studio nel processo di affermazione dei ?centri di calcolo? (accademie, università), quindi delle capitali e dei grandi specialisti, sulle periferie e sui ?manovali? del lavoro scientifico.
Le istruzioni svolgevano una funzione educativa: miravano a disciplinare l’azione dell’amateur, a imporgli il valore della precisione, ma anche a sottomettere le sparse esperienze ai dogmi delle teorie dominanti mediante una sapiente messa a punto dei questionari. Questi furono curati da celeberrimi accademici e professori (saggi di Olmi, Barsanti, Burkhardt); dai gentlemen della Geographical Society di Londra (Driver); dai mentori dell’antropologia positivista (Riviale, Landucci, Puccini); dai cardinali della Congregazione de Propaganda Fide, peraltro non sempre interessati alle caratteristiche (ed esigenze) peculiari delle regioni e delle popolazioni affidate alla predicazione dei missionari (Pizzorusso). A inizio ‘800 entrò in scena anche la figura dell’artista-scienziato, chiamato alla riproduzione dal vero di dati ? paesaggi, oceani, tratti razziali ? che si pretendeva di conoscere con esattezza prima dell’avvento della fotografia (Greppi, Tosi). Alla ?democraticità? della geologia, che valorizzava molto la messe di osservazioni isolate (Vaccari, Briffaud, Walther), si contrapponeva sul versante dell’antropologia la diffidenza con cui già gli idéologues accoglievano i resoconti sui costumi dei ?selvaggi?, zeppi di invenzioni e stereotipi più adatti alla letteratura che a una storia ?filosofica? dell’umanità (Blanckaert). L’osservazione in loco diventò, infine, anche un servizio amministrativo: prima col riformismo illuminato (Rombai, Guarducci, Vivoli), poi con l’età napoleonica, che vide tra l’altro la saldatura definitiva tra esplorazione, statistica e rappresentazione cartografica, e la promozione dell’ingegnere-geografo a specialista ?ufficiale? delle scienze del territorio (Quaini).

Maria Pia Casalena