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Medici o ciarlatani? L’omeopatia nel Regno delle Due Sicilie. Dal 1822 al 1860

Maria Chironna
Milano, FrancoAngeli, 224 pp., € 26,00

Anno di pubblicazione: 2016

Negli ultimi decenni, la storia della medicina ha conosciuto un profondo rinnovamento
metodologico e un allargamento dei suoi tradizionali orizzonti d’indagine, grazie
soprattutto agli apporti della storia sociale e culturale. Nel contesto di questa fioritura di
studi, è rimasto tuttavia in ombra il campo delle medicine «alternative», e in particolare
quella omeopatica, la cui storia è in genere relegata in poche frettolose righe nelle trattazioni
di taglio generale. Lo studio qui in analisi nasce principalmente dalla constatazione
di questo vuoto storiografico. Come l’a. tiene a precisare, «il giudizio sull’efficacia dei
rimedi omeopatici esula dalle nostre competenze e dallo scopo della presente ricerca» (p.
100). Suo intento è piuttosto quello di rendere giustizia, dal punto di vista storiografico,
a una pratica terapeutica emarginata dalle ricostruzioni ufficiali. Tenendo conto di questa
delimitazione del campo di ricerca e dei suoi corollari di indole metodologica, passiamo a
considerare più in dettaglio i caratteri dell’indagine, i suoi pregi e i suoi difetti.
Diciamo subito che la ricerca, nel suo insieme, si presenta solida, compatta, ben
articolata, e (diciamolo pure) scritta in modo chiaro e scorrevole. La diffusione dell’omeopatia
nel Regno delle Due Sicilie, dove giunse sulle baionette dei soldati austriaci, venuti
a chiudere con la forza la parentesi del «nonimestre costituzionale» del 1820-1821, è
ricostruita in maniera credibile. Accanto alla freddezza della maggior parte della comunità
scientifica, culminata con il rifiuto opposto alla richiesta dei medici omeopatici di costituire
una sezione a parte nel VII congresso degli scienziati, svoltosi a Napoli nel 1845,
vengono sottolineati anche i non pochi successi del metodo di Hahnemann: le svariate
traduzioni delle opere del fondatore della nuova dottrina medica, le pubblicazioni di periodici
di divulgazione scientifica che sostenevano i suoi principi, l’apertura di dispensari
omeopatici gratuiti.
Come l’a. rileva, tuttavia, le circostanze in seguito a cui l’omeopatia si affrancò (seppure
non del tutto e non definitivamente) dalla ghettizzazione in cui era stata nel complesso
mantenuta furono le due tragiche epidemie di colera che colpirono il Regno nel
1836-1837 e 1855-1856. Di fronte al caos terapeutico che si evidenziò in quelle occasioni
e all’impotenza dei tradizionali approcci curativi sostenuti dalla medicina ufficiale, i risultati
del trattamento omeopatico furono nettamente migliori. A tal proposito andrebbe
tuttavia sottolineato (a mio avviso con maggior forza di quanto faccia l’a.) che i più comuni
metodi di cura, rappresentati da diaforetici, emetici, purghe e salassi, non potevano che
peggiorare le condizioni di organismi già stremati dal colera, e che pertanto anche cure del
tutto inefficaci (purché non nocive) avrebbero prodotto risultati migliori di quelli attestati
nel contesto di un approccio terapeutico tradizionale.

 Alberto Tanturri