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Mediterranean Diasporas. Politics and Ideas in the Long 19th Century

Maurizio Isabella, Konstantina Zanou (a cura di)
London-New York, Bloomsbury, 217 pp., £ 65,00

Anno di pubblicazione: 2016

Tra i cantieri di ricerca sul Lungo Ottocento transnazionale quello guidato dalla
sapiente regìa di Maurizio Isabella e Konstantina Zanou pare uno dei più avanzati, capace
di rivitalizzare categorie e metodi di indagine, lavorando su uno spazio plastico come il
Mediterraneo dei displacements rivisitato in ottica di spatial turn. Dedicato alla memoria
di Christopher A. Bayly, scomparso nel 2015, il volume attua un esercizio di decostruzione
mentale rispetto a un vettore liquido che diventa a sua volta plurale, i Mediterranei,
a seconda che lo si percorra da est verso ovest, o da sud verso nord, seguendo gli intrecci
tutt’altro che lineari, i nodi, i gangli di reti che diventano una rete ante litteram, in grado
di mettere in contatto dinamico su distanze multiple e con esperienze grossomodo simultanee
persone, cose, progetti. L’Ottocento lungo diventa così un tempo che produce nuove
mobilità e modernizzazioni forzate provocate a loro volta da guerre (basti pensare alle
guerre napoleoniche), espansioni e occupazioni militari, rivoluzioni. Un secolo di innovazioni,
nuovi traffici commerciali, protesta e dissenso politico, tutti fenomeni disruptive
che non possono essere più compresi secondo la geometria e la geografia tradizionale.
L’idea di una fertile specificità del Mediterraneo che ha fatto parlare post-braudelianamente
di Mediterrean-ness conduce gli autori del volume a leggerne la storia ottocentesca
in termini di «sistema ecopolitico» (così G. Paquette, p. 50), un comune denominatore
ambientale di esperienze all’apparenza diversissime, anche provocatorie o contraddittorie.
Come ad esempio la difesa dell’idea di impero e delle libertà interne ai sistemi imperiali,
laddove si sostengono cause nazionali e si disvela il dilemma ordine/libertà, liberalismo/
dispotismo che percorre tutto il secolo, dall’Impero ottomano alla penisola iberica. In
pratica, questa è una delle lezioni del libro, non esiste un solo modo di essere impero,
come non esiste un solo modo di essere liberali o di essere liberi. Sicuramente ciò che
si disarticola e si risemantizza in questo spazio è l’esperienza dell’esule: riletto come un
alien, un migrant, un war refugee, più che la vittima di rimpianti e di nostalgie secondo un
paradigma storiografico a lungo praticato, archivi e dati alla mano egli appare inserito in
circuiti e flussi come mediatore di contaminazioni e mutuazioni culturali.
Nel complesso, il quadro offerto dai saggi dedicati a casi studio di esuli e personalità
attive sulle rotte mediterranee conferma in retrospettiva storica lo stretto rapporto tra
fenomeni di migrazione per motivi politici e avanguardie intellettuali (An intellectual
history in the Mediterranean and beyond? titola non a caso una sezione dell’Introduzione),
applicando il concetto di diaspora/diaspore agli spazi del Mediterraneo visto non come
un unicum chiuso, bensì come un contesto modulare, declinabile in maniere diverse a
seconda degli osservatori e delle strategie identitarie e memoriali messe in atto.

 Arianna Arisi Rota