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Metternich

Luigi Mascilli Migliorini
Roma, Salerno, 429 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2014

Già autore di una biografia di Napoleone, l’a. si cimenta con la figura che in un certo
senso eredita dal grande corso il ruolo di demiurgo dell’Europa. Ambasciatore della corte
d’Austria tra il 1803 e il 1806 a Dresda, Berlino, Parigi, e dopo il 1809 ministro degli
Esteri, Metternich è testimone protagonista dello stravolgimento dell’assetto europeo, al
quale tenta di porre rimedio ricorrendo a strategie centrate sul ristabilimento di un equilibrio,
che rimane però sempre precario. Ma se l’obiettivo della sua azione diplomatica
è soprattutto salvaguardare il traballante Regno d’Austria, Metternich – mette in luce
l’a. – è anche consapevole che la rivoluzione e Napoleone hanno dato vita a una nuova
Europa, ridefinendo la natura delle relazioni tra gli Stati, sancendo la definitiva scomparsa
di quella antica «camera di compensazione» rappresentata dal Sacro romano impero
e attivando nuove identità (Germania e Italia). Una consapevolezza che muove anche
da una vicinanza generazionale e culturale con i nuovi protagonisti della scena europea,
che lo porta a essere – pur cresciuto in una famiglia nobile renana vicina alla Casa d’Austria
– «più vicino ai suoi coetanei di oltre Reno di quanto non lo sia alla diplomazia che
circonda il padre e, come tale, molto più capace di intendere quel nuovo, sconvolgente
rapporto tra forza e legittimità che appartiene assai ai suoi sfrontati avversari e assai meno
al proprio mondo d’origine» (p. 47).
I capitoli dedicati al periodo napoleonico di Metternich sono i più ricchi e interessanti.
Certo queste pagine sono segnate dalla minuta analisi – a volte evocativa e allusiva,
mai comunque puramente descrittiva – delle manovre, degli accordi, dei progetti messi
in campo dalle cancellerie europee; ma la ricostruzione di questa fitta trama diplomatica
fornisce anche ulteriori elementi per una storia del mito e del ruolo di Napoleone, e restituisce
soprattutto il senso di un’Europa che non può (e in buona parte non vuole) tornare
al passato anche dopo la sconfitta napoleonica.
Il congresso di Vienna, «capolavoro diplomatico» di Metternich, dovrebbe rappresentare
una «riedizione in tempi aggiornati» (p. 167) della pace di Vestfalia e aprire la
strada a un’Europa segnata da quel binomio «equilibrio e egemonia», che è l’asse portante
della strategia di Metternich. Ma «il concerto europeo» di fatto nega questa possibilità,
in quanto fondato su un principio paradossalmente rivoluzionario – quasi napoleonico –
come l’intervento armato nelle questioni interne. Consapevole di queste contraddizioni,
ma nello stesso incapace di riconoscere la forza e la pervasività dell’altro lascito rivoluzionario
(nazione, rappresentanza politica, diritti), Metternich – cancelliere dal 1821 al
1848 – tenta di mantenere l’equilibrio con l’uso della forza, non dà alcun credito alle
voci moderate e riformiste presenti nell’Impero, e finisce per essere identificato come il
simbolo più evidente di un ordine europeo ormai al tramonto.
Il Metternich di Mascilli Migliorini è dunque il ritratto di una figura tragicamente
paradossale, capace di comprendere, controllare e alla fine sconfiggere la grande rivoluzione,
ma incapace di gestirne l’eredità.

 Enrico Francia