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Michele Maggi – L’Italia che non muore. La politica di Croce nella crisi nazionale – 2001

Michele Maggi
Napoli, Bibliopolis, pp. 201, euro 15,49

Anno di pubblicazione: 2001

Il libro ripercorre l’itinerario di Benedetto Croce dal crollo del fascismo agli inizi della Repubblica, indagandone da un lato il coinvolgimento diretto nella vita politica in difesa dell’esistenza dello Stato unitario, dall’altro l’azione pedagogico-culturale a favore di un ideale civile dell’Italia disgiunto dalle congiunture storiche (da qui il titolo, tratto dall’intervento alla Costituente del 24 luglio 1947 sul trattato di pace). L’autore, professore di Storia della Filosofia politica all’Università di Firenze, propone un percorso interno al punto di vista del filosofo attraverso il ricorso a testi, discorsi, appunti e carteggi (anche di recente pubblicazione), dei quali fornisce opportunamente, in conclusione, una tavola di corrispondenza. I primi due capitoli ricostruiscono la funzione di supplenza svolta da Croce, durante il biennio 1943-1945, rispetto alle classi dirigenti vecchie e nuove tramite un fitto lavorio interno ed estero, che si configura come banco di prova concreto per la concezione storico-filosofica della religione della libertà. Gli altri due capitoli si concentrano, invece, sul duro confronto del dopoguerra fra la proposta crociana di riannodare i fili della storia nazionale, dopo la ?parentesi? fascista, ricollegandosi alla secolare tradizione culminata nel Risorgimento liberale (con il conseguente ridimensionamento del ruolo storico della Resistenza, che Croce avrebbe voluto lotta di un ricostituito esercito nazionale e non di formazioni partitiche) e la volontà di cesura rispetto al passato espressa dalla cultura antifascista militante, in particolare comunista (bersaglio polemico dell’autore non meno che di Croce). A questo proposito, emblematico risulta l’episodio della controversia dell’autunno 1947 con Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea Costituente, sulle commemorazioni del centenario del 1848 che Croce giudica inopportune ritenendo gli italiani indegni in quel momento (dopo il ventennio e la catastrofe della guerra) di ?levare gli occhi all’immagine di quell’anno di alte idealità e di eroiche azioni? (p. 118).
Il volume s’inserisce a pieno titolo nel dibattito sull’identità italiana e sul concetto di patria. Non limitandosi all’esplorazione delle fonti, condotta con acribia e padronanza dei testi, l’autore sviluppa una critica severa nei confronti dei protagonisti politici e culturali italiani della seconda metà del Novecento. In particolare, contesta l’operazione togliattiana di conquista delle élites intellettuali, attuata attraverso la proposizione di Gramsci come nuovo filosofo nazionale in luogo di Croce, e conclude: ?l’oblio dell’impronta data da Croce nella fase di ricostituzione dello stato italiano, e la marginalizzazione se non l’espunzione della sua eredità dalla memoria politica delle classi dirigenti e intellettuali che l’hanno retto nei decenni successivi, appaiono il suggello finale di un rifiuto che ha nascosto il disagio della coscienza con un pertinace processo di rimozione? (p. 169).

Gian Luca Fruci