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Migranti in classe. Gli italiani in Svizzera tra scuola e formazione professionale

Paolo Barcella
prefazione di Matteo Sanfilippo, Verona, Ombre corte, 184 pp., € 17,00

Anno di pubblicazione: 2014

Negli ultimi anni i rapporti tra i fenomeni migratori e l’istruzione sono stati al centro di interessanti ricerche, anche in chiave storica. Si tratta di un problema centrale nelle analisi sull’Italia di oggi, dove cresce la richiesta di una politica educativa più consapevole e attrezzata nei confronti della presenza nelle classi di un numero sempre maggiore di ragazzi che in famiglia parlano un’altra lingua.
Ricostruire, attraverso analisi puntuali e approfondite, la storia dell’approccio alla scuola dei migranti italiani è sicuramente importante per disporre di un maggior ventaglio di esperienze, utile per affrontare e capire l’attualità. È un ambito di ricerca fondamentale, e in Italia largamente inesplorato, per studiare sia le interazioni tra società e istituzioni che le dinamiche della mobilità sociale. Il libro di Barcella presenta dei tratti peculiari proprio per l’analisi del livello istituzionale.
L’a., studioso delle migrazioni italiane in Svizzera e attivo in università ed enti di ricerca da una parte e dall’altra della frontiera, offre con questo agile volume una lettura complessiva della difficile relazione tra migranti italiani e autorità svizzere (a livello sia cantonale che federale) attraverso la prospettiva dei soggetti che hanno promosso iniziative legate all’educazione, sul doppio binario della formazione professionale e dell’istruzione scolastica. I soggetti attraverso i quali l’a. riesce a entrare nel vivo della questione sono quindi le associazioni laiche e confessionali, corpi intermedi associativi che agirono tra gli individui e le autorità statali, a un livello che si sta rivelando una delle chiavi di accesso privilegiato per superare una dicotomia tra società e istituzioni poco adeguata, soprattutto in ambito migratorio, a fornirci utili strumenti di analisi.
I fondi archivistici delle Colonie libere e quelli delle Missioni cattoliche, dunque, conservati tra Bellinzona (Canton Ticino), La Chaux-de-Fonds (Canton Neuchâtel), Winterthur e Zurigo (Canton Zurigo), vengono letti e confrontati con quelli delle istituzioni pubbliche come il Département politique fédéral di Berna o il Ministero del Lavoro di Roma, oltre che con una ricca serie di interviste con emigranti e operatori sociali che l’a. ha raccolto in anni di ricerche. Ne emerge un’analisi molto attenta e articolata, che dimostra come le politiche dell’immigrazione delle autorità elvetiche dal 1945 al 1973 si siano scontrate con la richiesta da parte dei migranti di ricevere formazione professionale e corsi scolastici ad hoc: «concepire le famiglie di immigrati come ospiti» portò a «un sistema scolastico impostato di conseguenza sulle esigenze di presunti scolari ospiti» (p. 143). La natura volatile e temporanea delle esperienze migratorie italiane, facilitata dalla contiguità territoriale e dalla politica del Gastarbeiter delle autorità svizzere, costrinse a dare risposte originali ai problemi educativi, almeno fino a quando nel corso degli anni ’70 gli italiani, da immigrati, non divennero una «minoranza etnica» (p. 168).

Stefano Gallo