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Mike Rapport – 1848. L’anno della rivoluzione – 2009

Mike Rapport
Roma-Bari, Laterza, 580 pp., Euro 24,00 (ed. or. London, 2008)

Anno di pubblicazione: 2009

L’a., dal 1995 al Dipartimento di Storia dell’Università di Stirling, è stato segretario della Società per gli studi della storia francese e redattore di «French History». Se i temi del nazionalismo e della cittadinanza in Francia, così come lo sguardo sulla storia europea, sono già stati oggetto di precedenti pubblicazioni, questo volume si presenta come un’imponente opera di sintesi su quel vero e proprio «vivaio di storia» (Namier) rappresentato dal biennio 1848-49.Il testo si articola in sei capitoli: i primi due riguardano i prolegomeni del disfacimento dell’edificio politico della Restaurazione, oggetto di una crescente opposizione, rafforzatasi a livello popolare a seguito della crisi economica degli anni ’40; gli altri quattro sono invece organizzati seguendo le diverse fasi di una stagione rivoluzionaria, scandagliata con attenzione in tutte le sue componenti geografiche, sottolineando il «policentrismo» di un fenomeno che interessò, con dinamiche solo parzialmente interdipendenti, Parigi, Vienna, Milano, Palermo, Budapest, Cracovia, Berlino, Venezia, Napoli e altri centri minori.Quella che racconta Rapport è la storia di un evento straordinario nella sua origine come nel suo svolgimento, che pose le basi del liberalismo europeo, realizzò conquiste fondamentali ancorché talvolta provvisorie, ma che si concluse con un tracollo foriero di spaccature destinate a protrarsi drammaticamente – complice la prima guerra mondiale – sino a buona parte del ‘900. Ed è proprio questa la chiave di lettura del libro, che pare attribuire il fallimento del liberalismo, ovvero il trionfo della reazione, a due ordini di motivi, l’uno legato alle contraddizioni del nazionalismo, l’altro all’erosione del liberalismo portata avanti da repubblicani e socialisti. Da un lato la reazione poté trionfare perché «i liberali europei del 1848 antepo[sero] agli ideali cosmopolitici della libertà e dell’autodeterminazione i propri interessi nazionali» (p. 308): e il volume analizza i feroci contrasti nazionali in Europa centro-orientale (soprattutto balcanica), sui quali Vienna fu abile a giocare per impedire lo sfaldamento dell’Impero. Dall’altro perché i «radicali», poco lungimiranti e ambiziosi, avrebbero scavato un solco incolmabile tra le istituzione liberali e la possibilità di integrarvi la questione sociale, inducendo la maggior parte dei moderati a consegnarsi alla reazione. Così, se nel ?48 si impose la partecipazione politica di massa, fu proprio la politica nelle sue manifestazioni estremiste la principale responsabile del fallimento. E in effetti, al di là di alcuni giudizi poco sfumati e di un’eccessiva svalutazione del cosmopolitismo liberale (il cui linguaggio è addirittura definito «vuota retorica», p. 521), è forse questo il principale limite del volume – peraltro godibile e informato – poiché l’analisi del discorso politico, che pure tenta di identificare dei meccanismi di rappresentanza di classe, appare l’ultima istanza di un’analisi che invece meriterebbe ulteriori approfondimenti. Forse, interrogandosi sulla logica di produzione dei discorsi medesimi, avrebbe evitato di fornire giudizi di valore sulle «responsabilità» relative a una storia che parrebbe non aver voluto andare per il verso giusto.

Gianluca Albergoni