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Mirella Larizza Lolli – Bandiera verde contro bandiera rossa. Auguste Comte e gli inizi della Société positiviste (1848-1852) – 1999

Mirella Larizza Lolli
il Mulino, Bologna

Anno di pubblicazione: 1999

Se la seconda parte del titolo introduce puntualmente l’oggetto del lavoro, la formula Bandiera verde contro bandiera rossa è un richiamo ai problemi che attraversarono il variegato mondo del repubblicanesimo francese: in primo luogo, alla contrapposizione tra positivisti e rouges, accomunati da una medesima fede repubblicana ma divisi quanto a princìpi, chiavi di lettura e modi di attuazione. Il fatto è che in questo saggio, frutto di un immane lavoro archivistico, si raccontano per lo meno due storie: al centro campeggia la vicenda della neonata Société positiviste e, tutt’attorno, si snoda una storia della cultura politica dell’Ottocento (il rapporto tra scienza e politica, la nuova religione dell’Umanità, il ruolo della donna nella società a venire, sono solo alcuni dei temi analizzati), di cui le pagine dell’Introduzione offrono una trattazione innovativa, feconda e problematica.
Perno del libro sono i rapporti tra Auguste Comte e “Figure e volti della Société positiviste” (è il titolo di un capitolo) nel corso del quadriennio che va dalla caduta della monarchia di luglio al colpo di stato del 2 dicembre 1851: un quadro di eventi quanto mai drammatici, di cui i contemporanei ebbero piena consapevolezza (si pensi ai Souvenirs di Tocqueville) e che, nel caso del fondatore della sociologia, accesero l’illusione del tutto infondata di influire sul corso della storia.
Negli anni trenta, nell’intento di divulgare la “vera filosofia”, Comte aveva affiancato all’insegnamento all’École Polytechnique i corsi di astronomia popolare, ma il mutato quadro politico rese improrogabile un profondo ripensamento. A questo problema sono dedicati i capitoli centrali: qui l’a. ricostruisce la riformulazione dei princìpi del positivismo secondo “codici espressivi” (il linguaggio del cuore, il linguaggio dei simboli e il linguaggio della religione) adatti ai proletari e alle donne, ossia a quelle masse illetterate che la rivoluzione aveva messo al centro della scena politica. “La nuova immagine che egli tentò di fornire della propria dottrina comportò” tuttavia “una parziale dislocazione dei suoi contenuti” (p. 246). Fino a che punto i membri della Société furono disposti a seguire il maestro è materiale per un’altra storia, che corre in parallelo all’esame dell’opera di volgarizzazione; ma è certo, comunque, che fu l’adesione di Comte al colpo di stato a “dar fuoco alle polveri”. Nell’ultimo capitolo è analizzato il ventaglio di reazioni che quell’adesione produsse nelle file della Société e, in particolare, la lucidità di Littré e di Robin, per i quali la dittatura bonapartista non era, e mai avrebbe potuto essere, “il battistrada del positivismo”. Allora lo scisma si abbatté sulla Société; se la condanna della restaurazione imperiale ristabilì sintonia tra Comte e gli allievi “ortodossi”, essa non riuscì a ricomporre la lacerazione principale, a riprova del fatto che, nella temperie quarantottarda, il comtismo si era ormai arroccato su posizioni di conservatorismo sociale.

Cristina Cassina