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Musica e politica nell’Italia unita

Lorenzo Santoro
Venezia, Marsilio, 359 pp., € 32,00

Anno di pubblicazione: 2014

L’a. indaga le connessioni tra il «politico» e la sfera pubblica nell’avvento della modernità.
In questo volume la musica diventa una spia forte della valenza simbolica della
politica, grazie alla sua capacità performativa di indurre effetti relazionali. Emerge un
approccio originale di storia culturale della politica attraverso l’estetica musicale, un’arte
asemantica (a differenza delle arti figurative) priva di un precostituito sistema di simboli,
la cui traduzione e comprensione (dall’opera al jazz) necessitano quindi di un intervento
da parte degli intellettuali. Assumono pertanto una centralità quelle figure di intellettuali
(politici e musicisti) alla cui produzione ricondurre concetti e rappresentazioni, misurando
relazioni e pratiche di sociabilità.
Il volume si compone di nove capitoli, dei quali i primi tre distesamente dedicati
alla trasformazione della musica da scienza ad arte nel vivo del «farsi» della nazione
risorgimentale. Cinque capitoli più mirati indagano l’età liberale e la sua crisi, con un
approfondimento del discorso sull’estetica musicale del futurismo (tra Marinetti e Balilla
Pretella). Un ricco capitolo è infine dedicato alla politica musicale dei comunisti lungo
tutto il secondo dopoguerra.
La valenza politica dell’arte musicale emerge soprattutto nell’indagine sul «lungo
Risorgimento». Il processo di politicizzazione si alimenta in modo significativo della musica
(borghese, popolare, folclorica). Con attenzione alle sue declinazioni di genere, senza
sovrapporre l’esperienza politica del Risorgimento e le sue espressioni culturali ad altri
successivi momenti della vicenda nazionale, l’a. scandaglia la complessità della cultura
politica italiana, interrogandosi sulle passioni e sui caratteri di appartenenza. Rispetto ad
altre fonti e a un loro uso quasi esclusivo, si vuole «incrociare l’ideologia degli intellettuali
italiani con un termine puntuale di produzione simbolica, quale ad esempio la musica»
(p. 24). Esse inducono l’a. a mettere in discussione inoltre la «sostanziale identificazione
della sfera pubblica e della sfera politica nella funzione di sociabilità offerta dai teatri
d’opera» attraverso il melodramma (p. 302).
Un significativo contributo si ha sul prisma del mondo comunista: l’identità (tramite
canti e inni) e la tradizione nazionale, le politiche musicali, il rapporto tra i diversi stili
(popolare e colto, di protesta e d’avanguardia). Si ripropone un dilemma spesso ricorrente:
«Il comunista poteva allo stesso tempo usufruire della musica di consumo e rivendicare
una sorta di superiorità morale grazie all’impegno del Partito verso le forme musicali
colte, folcloriche e d’avanguardia» (p. 299).
In alcuni momenti e passaggi della narrazione, non è facile individuare le effettive
ricadute e assimilazioni di progetti intellettuali e generi musicali. Sugli anni tra le due
guerre si vorrebbe forse saperne di più. Il volume comunque si presenta come un solido
riferimento, metodologicamente e concettualmente avvertito, per una storia culturale
della politica in cui il «politico» non sia paradossalmente dissimulato, ma messo al centro
della riflessione.

 Maurizio Ridolfi