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Mussolini censore. Storie di letteratura, dissenso e ipocrisia

Guido Bonsaver
Roma-Bari, Laterza, 246 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2013

Come viene specificato dallo stesso Bonsaver nella introduzione, il volume nasce
sulla scorta di una precedente analisi, dal titolo Censorship and Literature in Fascist Italy
(Toronto, University of Toronto Press, 2007), in cui l’a., docente di Storia della cultura
italiana all’Università di Oxford, aveva focalizzato l’attenzione sull’azione messa in atto
dall’apparato di controllo fascista e dallo stesso Mussolini nel campo della censura libraria.
Anche in questo suo nuovo volume l’a. – arricchendo il quadro con nuova documentazione
– si concentra sulle strategie attuate dal regime in questo specifico settore, in
parte stimolate dalla particolare predilezione del suo capo per varie forme di ingerenza,
talvolta estremamente minute, sulla vita dei libri (circostanza quanto meno singolare, se si
considera l’ampiezza delle incombenze da cui lo stesso duce era gravato). Non mancando
di dare conto del malcelato proposito del capo del Governo di appagare le proprie «ambizioni
d’intellettuale autodidatta», Bonsaver ricostruisce l’universo in questione con una
prosa piana, mettendo bene in luce l’inclinazione di Mussolini a erigersi a primo censore
dell’editoria nazionale (seppur afflitto da umori altalenanti, da cui spesso scaturivano
repentine revisioni e apparentemente inspiegabili inversioni di marcia).
Il volume ha l’indubbio pregio di portare all’attenzione del pubblico italiano una
documentazione vasta e sino ad oggi poco esplorata (forse anche a causa della tendenza –
esplicitamente richiamata a p. IX – di molti studiosi del fascismo a evitare, nelle proprie
ricerche, «l’approfondimento di questioni spinose come le complicità più o meno opportunistiche
tra scrittori ed editori, da una parte, e Mussolini e i suoi gerarchi e funzionari
dall’altra»), risultando nel complesso piuttosto apprezzabile e fruibile.
Qualche riserva va invece avanzata in relazione ad alcune asserzioni (come quella
proposta a p. 129, dove – con riferimento ai provvedimenti adottati dal regime nel 1938 e
al suo sempre maggiore avvicinamento all’alleato nazista – viene presunta una «personale
reticenza» del ministro degli Affari esteri Galeazzo Ciano «verso il nazismo e l’antisemitismo
») e in rapporto a talune vere e proprie inesattezze. A p. 139, con riferimento al
giugno 1943, si parla ad esempio del «nuovo ministro» della Cultura popolare Fernando
Mezzasoma (che divenne invece tale solo nel settembre 1943, dopo la caduta di Mussolini
e la costituzione della Rsi); alle pp. 165 e 168 – con riferimento al periodo 1935-1939
e al «caso Moravia» – si parla del «caporedattore» della «Gazzetta del Popolo» Ermanno
Amicucci (che sin dal 1927 era invece il potentissimo «direttore responsabile» del giornale);
a p. 76 viene osservato che, dopo la circolare telegrafica ministeriale del 3 aprile 1934,
la Prefettura di Asti – assieme ad altre – non dispose immediatamente la costituzione di
un suo ufficio stampa (ignorando che l’omonima provincia – con relativa Prefettura – fu
creata solo nell’aprile 1935).

Mauro Forno