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Nadia Maria Filippini (a cura di) – Donne sulla scena pubblica. Società e politica in Veneto tra Sette e Ottocento – 2006

Nadia Maria Filippini (a cura di)
Prefazione di Simonetta Soldani, Milano, FrancoAngeli, 334 pp., euro 22,00

Anno di pubblicazione: 2006

Le autrici dei saggi che compongono il volume (Nadia Maria Filippini, Tiziana Plebani, Liviana Gazzetta, Maria Teresa Sega, Nicoletta Pannocchia) da alcuni anni svolgono, nella prospettiva di genere, una vasta esplorazione di fonti inedite, nonché la rilettura critica di testi e fonti noti: ricordo tra l’altro i convegni organizzati a Venezia nel 2003 e nel 2006 e il volume a cura della Società Italiana delle Storiche Le donne nella storia del Veneto (Padova, 2005). Il libro inizia con il rinnovamento culturale che investe le città venete nel secondo Settecento, mettendo in discussione aspetti basilari dell’antico regime, tra cui la gerarchia tra i sessi, mentre tra i giovani si diffonde una «ricerca della felicità» che travolge gli usi matrimoniali. Lo testimoniano i personaggi di Goldoni e Pietro Chiari, così come gli scritti lasciati da donne che animarono luoghi di formazione dell’opinione pubblica come salotti, casini, accademie, caffè, redazioni di giornali, nonché la cultura musicale e teatrale. Le giacobine del 1797 (tra cui l’autrice de La causa delle donne) introducono l’austero modello femminile-patriottico, che, se censura la sessualità, riconosce però la libertà delle giovani di scegliere il proprio destino, condannando nozze e monacazioni forzate: un modello che si consolida nel Risorgimento, in cui la militanza femminile include la partecipazione alle guerre di vivandiere, infermiere, combattenti travestite da uomo, alle quali viene negato, tuttavia, quel ruolo militare ufficiale che avrebbe aperto la prospettiva della piena cittadinanza. Con l’annessione all’Italia le venete vedono arretrare i loro diritti e già a fine 1866 danno vita ad un movimento emancipazionista, che trova uno spazio di dibattito nel periodico «La donna». Ma più imponente, in età liberale, è la mobilitazione antimoderna delle cattoliche: campagne moralizzatrici dei costumi, organizzazioni volte a controllare la moralità delle lavoratrici, allontanandole dalla lotta di classe. L’esigenza di riformismo religioso, espressa da «femministe cristiane» come Elisa Salerno, Luisa Anzoletti, Antonietta Giacomelli, si scontra con le gerarchie ecclesiastiche, che imporranno alle cattoliche di spezzare ogni collaborazione con le laiche. L’ultimo saggio, pur denunciando la lacunosità delle fonti, raccoglie articolate informazioni sulle lavoratrici di età liberale, tra le quali spicca una massa di salariate giovani o addirittura bambine, retribuite con paghe misere, soggette a orari di 10-12 ore e a una disciplina vessatoria, destinate ad ammalarsi di anemia, tubercolosi, pellagra. Solo il 20 per cento di loro nel primo Novecento è organizzato, per lo più nel mutualismo cattolico: si spiega così il prevalente fallimento degli scioperi. Sono le maestre a entrare per prime nelle fila socialiste, ed è soprattutto grazie a loro ? e a isolate figure maschili ? che vengono affrontati per la prima volta temi spinosi come le molestie sessuali e la cultura maschilista diffusa tra gli operai.

Laura Guidi