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Nadia Venturini – Con gli occhi fissi alla meta. Il movimento afroamericano per i diritti civili – 2010

Nadia Venturini
Milano, FrancoAngeli, 426 pp., € 44,00

Anno di pubblicazione: 2010

Il movimento è quello che crediamo di conoscere nelle sue linee generali: negli Stati del Sud degli Stati Uniti, contro la segregazione razziale, per il diritto di voto degli afroamericani. L’arco cronologico lungo è quello giusto: dalla nascita dei regimi segregazionisti e quindi delle prime associazioni afroamericane di protesta, intorno al 1900, fino all’approvazione della legislazione sui diritti civili e politici del 1964-65. Il corpo più cospicuo e dettagliato del libro riguarda gli ultimi venticinque anni di quella storia, a cominciare dalla seconda guerra mondiale e in particolare dagli sviluppi cruciali della metà degli anni ’50: il boicottaggio degli autobus di Montgomery, Alabama nel 1955-1956, e l’emergere della leadership di Martin Luther King, Jr.Si tratta di un lavoro di sintesi, basato su fonti secondarie. Il suo principale pregio è quello di mettere a frutto la più recente storiografia sull’argomento, per raccontare una storia che al lettore italiano risulterà piuttosto nuova, certo più articolata di quella di solito raccontata. Di questa produzione storiografica, ricchissima, l’a. rende conto in maniera diretta nell’introduzione; le sue tracce si ritrovano poi in tutto il testo. Il testo presenta un percorso cronologico nella prima parte, e un percorso tematico (reti interrazziali, leadership femminile, organizzazioni grassroots) nella seconda parte. Talvolta i rinvii tematici da un capitolo all’altro, dalla prima alla seconda parte possono essere faticosi.La nuova storiografia illumina lotte, strutture di base, biografie di militanti rimaste nascoste nel cono d’ombra di King, della sua enorme visibilità, della sua tragica fine, della sua santificazione postuma. Non che King non fosse importante, lo era, eccome. Era un eccellente mobilitatore, capace di coinvolgere molte persone in eventi radicali e sovversivi, di immediato impatto drammatico sulla comunità nera e sul sistema mediatico bianco. Era un eccellente leader carismatico capace di tenere insieme, a lungo, anime politiche e sociali diverse, mediando diversità e rivalità. Ma non era un organizzatore. Questo lavoro locale e di lunga lena, che rendeva possibile ed efficace il suo, era di altri. Come disse qualcuno, «fu il movimento a fare Martin, piuttosto che Martin a fare il movimento».Una lettura «dal basso» consente di portare in primo piano (e l’a. lo fa bene) nuovi aspetti, nuovi problemi. Ne enuncio due. C’è il tema della continuità storica delle culture di resistenza, che dal primo ‘900 si trasferiscono attraverso le generazioni, si sedimentano in una varietà di organizzazioni, e lasciano eredità senza le quali l’esplosione degli anni ’50-60 sarebbe impensabile. E c’è il tema della complessità delle comunità nere, che producono reti locali di leadership assai variegate, dai pastori colti e middle-class delle Chiese protestanti a donne e uomini con poca istruzione formale ma grande sapienza e determinazione politica. Si ripete qui il miracolo dei genuini movimenti popolari: sarte, mezzadre, ferrovieri, che diventano agguerriti leader naturali senza i quali il Dr. King sarebbe impensabile.

Arnaldo Testi