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Nancy Jachec – Politics and Painting at the Venice Biennale, 1948-64. Italy and the Idea of Europe – 2007

Nancy Jachec
Manchester, Manchester University Press, 213 pp., £ 55,00

Anno di pubblicazione: 2007

La tesi di questo libro è che nel periodo considerato l’Italia ebbe una parte attiva nella proposta di attività culturali che contribuirono all’unificazione europea. Fin dai primi anni ’50 il Consiglio d’Europa sviluppò gli aspetti culturali dei suoi sforzi verso l’integrazione europea attraverso la campagna denominata «Idea d’Europa», intesa a rendere l’Europa un’unità sul piano culturale senza tuttavia sacrificarne la varietà di espressioni, a diffondere l’idea dello spirito europeo nelle generazioni a venire. Tali attività del Consiglio non sono state finora prese sufficientemente in considerazione.A partire dal 1948, la DC si occupò direttamente della Biennale di Venezia, decidendone la forma amministrativa e la direzione. Essa era allora la più importante manifestazione artistica europea, non esistendo ancora Documenta, che venne creata a Kassel nel 1955, né la Biennale di Parigi, fondata nel 1959. La Biennale si prestava quindi in modo particolare a restaurare i contatti culturali tra l’Italia e la comunità internazionale dopo il ventennio fascista. Questo periodo si prolungò fino all’apertura al PSI nel 1963. Nel quadro di tale strategia politico-culturale, la pittura informale e gestuale (gesture painting) costituiva un mezzo particolarmente idoneo, in quanto simbolicamente espressiva di una tendenza comune all’Europa occidentale, sotto la quale veniva anche sussunta – con operazione prettamente eurocentrica – la cultura artistica statunitense. Le espressioni «cultura europea» e «cultura occidentale» venivano infatti usate in modo intercambiabile, rivelando la convinzione comune dell’universalità dei valori culturali europei. Il Consiglio d’Europa riteneva quindi legittimo mirare a una leadership culturale e morale internazionale. Il fatto che tra il 1948 e il 1964 il numero delle nazioni espositrici raddoppiasse, passando da sedici a trentaquattro, rendeva la manifestazione particolarmente importante rispetto ai fini di integrazione e rappresentatività perseguiti dal Consiglio.L’a. affronta questo tema finora sottovalutato con ricchezza di documentazione sia primaria – grazie a una vasta ricerca negli archivi italiani, britannici e statunitensi – sia secondaria e adotta tanto procedimenti di storia generale quanto il metodo del case-study, includendo così vari paesi dall’Asia, dall’Africa e dall’America Latina. Ciascuno di essi presentava una versione diversa della pittura informale, il che complica la visione della ricezione della cultura e dell’arte occidentali nel mondo. Risulta da questo studio che la Biennale trasformò la pittura informale, intesa come espressione della condizione umana nel dopoguerra, emblematica del trauma della seconda guerra mondiale e della ricostruzione europea, nella base di un nuovo umanesimo, e come tale la promosse. Il volume illustra quindi in modo convincente il ruolo che ebbe la Biennale nell’evidenziare l’impegno dei governi centristi dell’Europa occidentale, attraverso iniziative diplomatico-culturali, nei confronti dell’integrazione di questa zona, dell’atlantismo e dell’anticomunismo. Complessivamente ne risulta dimostrato l’uso della pittura informale da parte della Biennale come iniziativa europeista.

Luisa Passerini