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Natalie Zemon Davis – La storia al cinema. La schiavitù sullo schermo da Kubrick a Spielberg – 2007

Natalie Zemon Davis
con una nota di Alessandro Portelli, Roma, Viella, 174 pp., Euro 19,00

Anno di pubblicazione: 2007

In questo scorrevole, ma denso libro, Zemon Davis ci invita a percorrere un affascinante viaggio fra racconto storico e narrazione cinematografica, tra verità storica e «meta-realtà» di immagini, suoni, dialoghi.L’a. si domanda: «Quale potenzialità ha un film di raccontare il passato in modo significativo e accurato?» (p. 17), può un film rendere quell’intreccio straordinario fra una storia – una «microstoria» – e la storia, vale a dire la ricostruzione di un passato fatto di vite individuali e collettive, di strutture e codici sociali, di grandi ideali e di istituzioni politiche?Ci propone, quindi, di avventurarci in un sentiero, irto di difficoltà e anche di sfide per gli storici di professione, analizzando un tema di grande interesse storico e di drammatica attualità: la schiavitù. E lo fa attraverso l’analisi di cinque film famosi: Spartacus di Kubrick, Queimada di Pontecorvo, La última cena del regista cubano Gutiérrez Alea, Amistad di Spielberg e Beloved di Demme, tratto dal romanzo di Toni Morrison. Cinque film che tratteggiano, in modi e periodi diversi, e a volte anticipano questioni chiave che gli storici hanno affrontato nelle loro analisi sui sistemi di schiavitù: la resistenza degli schiavi (Spartacus), le ribellioni e i riti culturali e religiosi che hanno nutrito quelle rivolte (Queimada e La última cena) che punteggiarono l’«Atlantico nero» (Gilroy), come già nel 1938 aveva messo in luce C.L.R. James nel suo I giacobini neri. E, infine, il trauma, il ricordo doloroso e lacerante della cattura e del Middle Passage (Amistad) o di una fuga verso la libertà, lungo i percorsi della Underground Railroad, pagata, soprattutto dalle donne, a caro prezzo, anche quello più alto dell’uccisione dei propri figli (Beloved).I vari capitoli si dispiegano attraverso un’analisi che intreccia la narrazione della genesi e delle vicende cinematografiche e la ricerca storiografica, la sola in grado di contestualizzare i fatti narrati, ma anche di gettare luce sulle radici stesse dei film presi in considerazione. Ha rilevanza che Spartacus venga girato nell’epoca della guerra fredda e del «pericolo rosso» e che Queimada sia invece concepito, sulla scia delle rivoluzione anticoloniali, dall’autore di La battaglia d’Algeri o, infine, che Amistad e Beloved siano creati «all’ombra dell’Olocausto» (p. 81)? Ha importanza il fatto che Dalton Trumbo, sceneggiatore di Spartacus, fosse nella lista nera di McCarthy? Sì, ne ha perché spesso si proiettano sulle vicende narrate sentimenti o ideali che appartengono al presente, come, secondo l’a., fa Spielberg nel suo Amistad, quando «inventa» un’amicizia fra lo schiavo ribelle, Cinqué, e John Quincy Adams che lo difende in tribunale. Mentre, invece, ed è questa la conclusione del libro, «i film storici dovrebbero lasciare che il passato rimanga tale» (p. 148), senza ammorbidimenti o rimodellamenti per renderli compatibili con il presente. In fondo ce lo può insegnare proprio la protagonista di Beloved: la memoria può fare sanguinare, ma solo facendo i conti con essa si può guardare al futuro.

Raffaella Baritono