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Nicola Labanca – Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana – 2002

Nicola Labanca
Bologna, il Mulino, pp. 569, euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2002

Gli studi storici coloniali sono rimasti per un lungo periodo una specie di nature reserve che assicurava la sopravvivenza a specie storiche in via di estinzione. Predominava “il nazionalismo nostalgico” e l’isolamento dalla storiografa internazionale. E stato merito di pochi, e soprattutto di uno studioso, Angelo Del Boca, sempre escluso dalla corporazione accademica, se la storia delle colonie italiane è entrata a far parte della coscienza storiografica generale. Più recentemente, Nicola Labanca, con il suo In marcia verso Adua e altre pregevoli pubblicazioni, ha assunto un ruolo di leader nello sforzo di “decolonizzare” il settore. Oltremare si presenta come il primo vero tentativo di una nuova sintesi, con un taglio quasi enciclopedico. I primi tre capitoli, prevalentemente narrativi, sono seguiti da cinque capitoli dedicati a temi specifici: il discorso e la propaganda, l’economia, la colonizzazione e l’amministrazione, la società coloniale e la memoria delle colonie. E’ uno strumento di lavoro che sarà essenziale per tutti quelli che vogliono occuparsi di questi temi. La vasta bibliografia dimostra l’attenzione di Labanca per la storiografia internazionale – americana, europea, e africana. E’ un peccato, che, secondo una prassi purtroppo generale, il volume, che è pieno di nomi esotici, sia fornito solo di due cartine del tutto inadeguate, e neanche esatte. Ma di questo si può presumibilmente incolpare l’editore piuttosto che l’autore.
Labanca non ha esitazioni nel dare un’interpretazione prevalentemente politica dell’espansione coloniale, anche se la sua analisi è attenta alla varietà di gruppi economici coinvolti nelle imprese coloniali, sottolineando che non si trattava soltanto di “grandi” interessi ma anche di “piccoli”, come i camionisti. Solo in un caso i motivi economici erano di importanza primaria, anche se non predominanti. L’impresa etiopica, per la sua grandezza, e per il suo carattere di guerra sotto certi aspetti “moderna” e “totale”, aveva delle conseguenze determinanti per l’economia nazionale nel suo complesso, raffigurandosi come risposta anticongiunturale alla stagnazione prodotta dalla grande depressione. E’ quasi superfluo dire che sia dall’esperienza libica, sia da quella etiopica, il mito dei “buoni italiani”, colonialisti più umani degli altri, esce malconcio. Notevole il ridimensionamento del mito degli italiani come grandi costruttori di infrastrutture.
In linea con la più innovativa storiografia internazionale, Labanca insiste sull’ importanza delle interpretazioni “periferiche”, che mettono in primo piano la varietà dei contesti e delle reazioni indigene, rispetto a una visione tradizionale troppo italocentrica. Ciò non toglie che uno dei capitoli più stimolanti sia quello dedicato al discorso e alla propaganda, che documenta fra l’altro la penetrazione di motivi colonialisti anche a livello popolare attraverso una molteplicità di mezzi, dalle dispense illustrate al teatro dei pupi. La propaganda per l’Impero risulta del tutto eccezionale rispetto all’insieme dei canali di comunicazione, secondo un modello veramente totalitario. Ma era una parentesi straordinaria, e i miti che veicolava erano spesso cosi insostenibili che provocarono delusione anche prima della sconfitta.

Adrian Lyttelton