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Nicola Ostuni – Napoli comune, Napoli capitale. Le finanze della città e del Regno delle Due Sicilie – 1999

Nicola Ostuni
Liguori, Napoli

Anno di pubblicazione: 1999

È questo uno studio di finanza locale particolarmente significativo per la storia dell’Ottocento meridionale. Esso constata la stretta interdipendenza tra il sistema della finanza pubblica e quello delle municipalità durante la Restaurazione: anche Napoli come città, prima ancora che come capitale, paga il prezzo di questo meccanismo. Il suo sistema finanziario è poco dinamico perché sostanzialmente controllato dalla Tesoreria reale che assorbe gran parte delle entrate daziarie senza adeguate contropartite. Nel giro di quarant’anni il bilancio municipale si semplifica e la spesa si incrementa soprattutto nei settori dei lavori pubblici e delle spese per l’igiene e la sanità, ma a ritmi lenti che fanno intuire la scarsa incidenza delle risorse finanziarie locali sui processi di trasformazione urbana. L’a. evita di “analizzare le singole voci di bilancio per individuarne la valenza nel campo politico e sociale” (p.158) e non si interroga sugli effetti che i ricorrenti e massicci ricorsi all’imposizione sui prodotti di largo consumo determinano sui tanti e diversificati spazi di mercato della città. Pur attento alla valenza istituzionale del tema affrontato, dedica solo un cenno alla macchina burocratica preposta alla gestione di un rilevante flusso di risorse, primo nucleo di una nuova borghesia impiegatizia.
Piuttosto, l’a. guarda allo sviluppo macroeconomico del Mezzogiorno e ai sistemi finanziari locali del regno, al loro “dare ed avere” con la finanza pubblica. Si rafforza così, anche alla luce di considerazioni contabili sul rapporto tra pressione fiscale e PIL, un’immagine dell’economia meridionale strettamente condizionata dalle politiche di indebitamento adottate negli anni della Restaurazione. Un’economia asfissiata da un sistema tributario che penalizza i proprietari fondiari e le fasce sociali più deboli, ed è infine vittima di un meccanismo di allocazione delle risorse pubbliche che trascura la periferia del Regno a vantaggio della capitale.
Pur se sorretta da una competente lettura dei materiali contabili, quest’interpretazione sottovaluta le molteplici articolazioni dell’agricoltura meridionale, sempre più modellate da una domanda esterna che imprime il suo carattere su gerarchie e vincoli tra produttori, mercanti e consumatori. La puntuale rappresentazione della “questione finanziaria”, sia a livello locale che centrale, fa in ogni caso emergere l’importanza del comparto della finanza pubblica per la storia economica e sociale del Mezzogiorno borbonico. In tal senso la ricerca offre spunti interessanti che andrebbero ulteriormente approfonditi. Basti pensare che la grande parte delle spese statali riservate alla città di Napoli si concentra sugli stipendi dell’alta e media burocrazia. Viene quindi spontaneo richiamare, anche in considerazione degli studi attualmente in corso sul crollo del Regno delle due Sicilie, la categoria di crisi finanziaria come strumento interpretativo non secondario della storia del Mezzogiorno borbonico.

Paolo Frascani