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Nir Arielli – Fascist Italy and the Middle East, 1933-40 – 2010

Nir Arielli
Basingstoke, Palgrave Macmillan, 257 pp. £ 55,00

Anno di pubblicazione: 2010

Diviso in sei capitoli e strutturato cronologicamente, il volume analizza in maniera approfondita la politica estera fascista in Medio Oriente, ponendosi a metà strada tra coloro (De Felice, Goglia, Quartararo) che l’hanno interpretata in maniera «strumentale», come un modo per esercitare pressione sulla Gran Bretagna così da ottenere compensi in altri contesti, e coloro (MacGregor Knox, Mallett, Strang) che hanno visto nell’obiettivo di creare uno «spazio vitale» nel Mediterraneo e in Medio Oriente uno degli elementi chiave della strategia del duce. Secondo l’a., la politica araba dell’Italia ebbe uno spazio assai rilevante nell’azione di Mussolini, che però strutturò le proprie aspirazioni egemoniche in Medio Oriente agendo in maniera pragmatica sulla base del contesto internazionale e dei margini di manovra che di volta in volta riteneva di avere.In particolare, distaccandosi espressamente dall’impostazione di De Felice (Il fascismo e l’Oriente, Bologna, il Mulino, 1988), l’a. ritiene che la politica araba dell’Italia non possa essere ridotta ad una «carta» da giocare in attesa del riconoscimento britannico dell’Impero, accantonata allorché l’obiettivo venne raggiunto con gli Accordi di Pasqua nell’aprile 1938. L’attivismo fascista, infatti, proseguì anche dopo tale data, come dimostra il fatto che Roma continuò ad avere contatti con leader dei movimenti nazionalisti arabi e a portare avanti una politica di penetrazione economica e militare nell’area. In questo modo, gli ambiziosi – e assolutamente irrealistici – piani di espansione territoriale in Medio Oriente, elaborati dal Ministero degli Esteri italiano tra il luglio e il settembre del 1940 nel caso in cui l’Asse fosse uscita vittoriosa dalla guerra, rappresentano per l’a. lo sbocco naturale di una politica che si era strutturata nel corso degli anni ’30 e non – come De Felice ha sostenuto – una strategia completamente avulsa dal passato.Se tale cornice interpretativa risulta convincente, l’a. non è tuttavia persuasivo nel chiarire un passaggio cruciale: come mai Roma abbia cessato di finanziare il Gran Muftì di Gerusalemme proprio al culmine della rivolta arabo-palestinese in un momento in cui Londra si trovava in grave difficoltà e un sostegno esterno avrebbe ulteriormente complicato la situazione a beneficio della strategia italiana. Appare, infatti, un po’ semplicistico affermare che il coinvolgimento diretto cessò perché «Mussolini sembra[va] essere poco interessato al successo della rivolta» (p. 131).In ogni caso, il volume è ben costruito e dosa sapientemente fonti edite e inedite, documenti di archivio e stampa dell’epoca. Certamente apprezzabile è poi lo sguardo con cui vengono analizzate le strategie messe in atto dagli interlocutori con cui l’Italia si confrontò, fossero questi leader del nazionalismo arabo, giornalisti, funzionari governativi o membri delle case reali. Come l’a. mette in luce, non fu solo Roma a servirsi di loro all’interno della propria strategia, ma anch’essi utilizzarono l’Italia in funzione anti-britannica o anti-francese per garantire l’indipendenza da poco raggiunta o porre le basi perché questa fosse ottenuta in prima possibile.

Arturo Marzano