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Non solo canzonette. L’Italia della ricostruzione e del miracolo economico attraverso il festival di Sanremo

Leonardo Campus
Milano, Le Monnier, X-304 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2015

Dell’evento rituale che accompagna gli italiani dal 1951, Leonardo Campus ha privi- legiato i primi 15 anni. Per l’a., in armonia con Gianni Borgna, nel 1980 il primo a tentare di comprenderne il senso, Sanremo diede allora il meglio di sé: uno specchio effettivo di un paese che rapidamente si trasformava. L’edizione del 1964 rivelò l’aspirazione alla società aperta: in quell’anno per la prima volta apparvero i cantanti stranieri, che proponevano in italiano la loro versione. L’anno della congiuntura, di De Lorenzo e di Segni, dell’arresto del centrosinistra riformatore, è considerato quindi, anche sub specie Sanremo, il momento cul- minante dell’ascesa dell’Italia, divenuta nel giro di pochi anni un paese industriale, mobile, aperto all’esterno, giovane, aspirante a diffusi consumi di massa. E i 45 giri – di Una lacrima sul viso di Bobby Solo si vendettero oltre 1.200.000 copie – in quell’anno spopolarono in una misura fino ad allora sconosciuta. Sanremo è perciò nel libro di Campus espressione del miracolo economico in versione italiana e dopo di allora avrebbe perso rilievo.
Il rito però continua con indubbio successo ancora oggi: siamo arrivati ormai alla 66° edizione. Tutti, male o bene, ne parlano, almeno nel breve tempo in cui il rito si svol- ge. È questa sua natura a essere storicamente interessante, questo suo essere un racconto con il quale il paese, nelle forme lievi e nazionali popolari della musica leggera arricchita da tutto ciò che fa spettacolo – la vita, la sofferenza, la gioia, la malattia, i saltimbanchi, i promotori di sé, gli attori, qualche volta anche i politici come Pier Luigi Bersani nel 2010
– parla di sé. E sebbene tutti paiano detestare quel rito e quella musica, tutti, o quasi, ci vanno. Da lì sono usciti pezzi importanti del racconto italiano: da Grazie dei fiori di Nilla Pizzi a Nel blu dipinto di blu di Modugno, da Non ho l’età di Gigliola Cinquetti a Nessuno mi può giudicare di Caselli, da Canzone per te di Endrigo (quando parteciparono Luis Armstrong, Lionel Hampton, Dionne Warwick, Eartha Kitt…) a Per Elisa di Alice- Battiato, da Sarà perché ti amo dei Ricchi e Poveri a Vita spericolata di Vasco Rossi, da Perdere l’amore di Ranieri a Con te partirò di Bocelli, fino a Chiamami ancora amore di Vecchioni, la cui vittoria fu celebrata in un fondo da Barbara Spinelli.
È un rito leggero di un paese a lungo lacerato e irrimediabilmente diviso, un po’ come il continente cui appartiene: infatti, nel 1956 ispirò l’Eurovision Song Contest. Che è fenomeno più televisivo, capace però nel 2014 con Conchita Wurst di mostrare l’allargamento della cittadinanza democratica che l’Occidente propone nel mondo mul- tilaterale. Un po’ come i nastri arcobaleno che hanno invaso il palcoscenico dell’Ariston nell’ultima edizione.
Sanremo è quindi un discorso sullo stato della nazione, lieve come le canzoni, ma non per questo meno rilevante. Forse quando scomparirà – come in effetti si pensava sarebbe stato ineluttabile negli anni ’70 – vorrà dire che il paese avrà effettivamente effet- tuato il giro di boa.

Paolo Soddu