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Nuova Germania, antichi timori: Stati Uniti, Ostpolitik e sicurezza europea

Giovanni Bernardini
Bologna, il Mulino, 310 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2013

L’a. analizza in dettaglio l’intricata, decisiva relazione tra Germania federale e Usa negli anni 1969-1972, in cui Brandt e Nixon costruiscono le loro politiche di distensione, distinte ma intrecciate. È una storia internazionale imperniata sulle personalità decisive, in particolare Egon Bahr e Henry Kissinger, i loro collaboratori e i relativi apparati diplomatici. Le fonti sono perciò quelle archivistiche statunitensi e tedesche, oltre a taluna documentazione francese e britannica. Il campo storiografico in cui l’a. inserisce la sua ricostruzione è quello della distensione e delle relazioni transatlantiche.
Nei capitoli centrali viene ricostruito il dialogo (talora diffidente, talaltra fattivo, sempre indispensabile a entrambi) tra i vertici dei due governi intorno allo snocciolarsi degli accordi che scandiscono l’avanzare della Ostpolitik, mentre Washington prepara i suoi accordi sugli armamenti nucleari con l’Urss e quest’ultima incalza con la proposta di una Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa.
Ne risulta confermata l’essenziale diversità tra le due concezioni della distensione: fortemente trasformativa dello status quo europeo quella brandtiana, eminentemente conservatrice quella statunitense. La ricerca fa luce sui singoli passaggi della relazione bilaterale, ed è particolarmente originale nell’attenzione prestata al contesto politico interno della Rft, che avrebbe anche potuto mandare all’aria le iniziative brandtiane se gli Stati Uniti avessero deciso di fare leva sull’opposizione conservatrice.
I pregi del libro discendono dalla sua intensa focalizzazione, che mette sotto il microscopio i tanti fili che congiungono Bonn e Washington, e che l’a. intreccia e districa con lucidità. Il rovescio della medaglia è il diradarsi del contesto più ampio della vicenda, che avrebbe potuto essere utilmente ridiscusso alla luce di questa ricerca. L’a. conosce la letteratura di riferimento ma la usa in modo assai misurato, quasi non gli interessassero più di tanto le questioni interpretative che la sua angolazione tedesco-americana potrebbe illuminare, qualificare o criticare.
È insomma un libro ben fatto ma introverso, che non porta a fondo le sue stesse conclusioni. Le pagine finali, in particolare, rimarcano giustamente la caducità della distensione di Nixon e Kissinger, ma non si misurano con la svolta culturale e strategica del neo-conservatorismo che la seppellirà. E se accennano ai frutti della Ostpolitik per la trasformazione dell’Europa, rinviano a ricerche «che verranno» il compito di ragionare su «quanto la Ostpolitik e la distensione tra le superpotenze abbiano influito sui tempi e le modalità con cui la Guerra fredda è giunta al termine» (p. 293). Il richiamo è curioso perché la letteratura sulla fine della guerra fredda si misura su questo ormai da qualche anno. E risulta anche un po’ mesto perché è proprio da una ricerca come questa che ci si aspetterebbe un contributo esplicito ed energico a quel dibattito.

Federico Romero