Cerca

Oleg V. Chlevnjuk – Storia del Gulag. Dalla collettivizzazione al grande terrore – 2006

Oleg V. Chlevnjuk
Torino, Einaudi, XVIII-398 pp., euro 44,00 (ed. or. Moskva, 2004)

Anno di pubblicazione: 2006

Il lavoro ? che comprende anche 106 documenti riportati pressoché per intero ? è il migliore oggi esistente sulla nascita e lo sviluppo del Gulag staliniano nell’anteguerra, dopo che la deportazione di milioni di contadini durante la collettivizzazione dell’agricoltura a partire dal 1930 segnò un salto qualitativo e quantitativo della rete del lavoro forzato gestita dalla polizia politica. Nel sistema sovietico il Gulag si ritrovò al vertice di due piramidi rovesciate: la piramide del lavoro (che già nelle fattorie collettive con le loro corvée e nelle fabbriche militarizzate poteva considerarsi semi-forzato) e quella dei dispositivi di reclusione, che dalle carceri si sviluppavano nel Gulag, diviso tra la rete di insediamenti di «colonizzazione» in cui erano costretti i contadini e poi le nazionalità esiliate nelle regioni asiatiche e subpolari, e i lager veri e propri. Chlevnjuk mostra che le caratteristiche che il Gulag acquisì non furono preordinate. Nel 1930 i capi dell’OGPU erano scettici sui lager per la scarsa produttività dei forzati, il cui mantenimento gravava sullo Stato. Tra la prospettiva di sviluppare il Gulag intorno a grandi opere e impianti minerari basati su lavoro schiavo (si potrebbe chiamarlo il «Gulag-cantiere»), o intorno a insediamenti, soprattutto agricoli, nelle regioni spopolate del paese che si sarebbero col tempo trasformati in normali centri produttivi abitati da coloni semiliberi con le loro famiglie (il «Gulagcolonizzazione »), l’OGPU propendeva decisamente per la seconda ipotesi. Per i dirigenti politici però l’utilità del lavoro forzato era un assioma. I piani prebellici di sviluppo di industrie e infrastrutture resero il Gulag funzionale a un’economia che si basava su progetti prioritari da completare in tempi strettissimi e su cui erano concentrate le risorse ? ma molte di queste «grandi opere» erano sbagliate e irrazionali: negli anni Trenta la lunghezza delle ferrovie iniziate dai forzati e poi abbandonate perché inutili era pari a quella delle linee portate a termine. Chlevnjuk ci spiega del resto con chiarezza che furono gli imperativi politici (le repressioni di intere categorie sociali) e non quelli economici a plasmare il Gulag. Le necessità economiche del Gulag non determinarono nessuna delle grandi ondate di arresti. Nel complesso la produzione del Gulag non era fondamentale per l’economia sovietica, di cui portava all’estremo i difetti: l’esistenza di un così vasto settore basato sul lavoro forzato incoraggiava l’inutile dissipazione di enormi risorse e disincentivava il progresso tecnologico, caratteristiche dell’intero sistema economico. Grazie a Chlevnjuk, la cui conoscenza delle carte degli archivi centrali sovietici non ha pari al mondo, ora abbiamo un’idea chiara dei modi e delle finalità degli stermini del 1937- 38 e dello sviluppo del Gulag. Conosciamo meno l’effetto che sui sopravvissuti dei gruppi sociali presi di mira o su quelli creati dal Gulag stesso (sulla loro cultura, sui legami sociali e sulle identità collettive) ebbero gli eccidi e il sistema dei campi. Chlevnjuk stesso indica la via: «il modo in cui il Gulag dilagò oltre i recinti di filo spinato è un problema ancora inesplorato, ma reale» (p. 372).

Niccolò Pianciola