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Oliviero Bergamini – La democrazia della stampa. Storia del giornalismo – 2006

Oliviero Bergamini
Roma-Bari, Laterza, IX-488 pp., euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2006

Bergamini ci offre un excursus di quasi cinquecento anni di storia del giornalismo che muove dal principio che «il giornalismo è un fenomeno caratteristico della modernità» (p. V). Questa affermazione, che a prima vista potrebbe sembrare quasi banale, in realtà nasconde almeno due determinanti implicazioni di metodo e di contenuto. La prima è l’approccio nettamente eurocentrico (o, per meglio dire, «occidente-centrico») alla materia. Giornalisti non europei o nordamericani fanno timidamente capolino solo alla p. 451 e quindi verso la fine, quando si parla di Al Jazeera. È questo un limite non solo di Bergamini ma di molti suoi predecessori: negli Stati Uniti, per fare un esempio, è complicatissimo trovare manuali di storia del giornalismo che non parlino solo degli Stati Uniti.La seconda implicazione riguarda un impianto metodico del manuale accentuatamente idiografico piuttosto che nomotetico. Bergamini infatti (anche qui in buona compagnia, forse non negli Stati Uniti ma sicuramente in Italia) dialoga poco con le scienze sociali: il nome di McLuhan ricorre di sfuggita (p. 327), Innis (il vero autore delle tesi di McLuhan), Lasswell, Lazarsfeld non compaiono proprio. Il risultato è un libro sicuramente leggibilissimo, dove però ci sono dentro tantissime storie di uomini, donne, giornali, fino a faticare nel tenere in mano un filo interpretativo coerente. Una delle cose che quei sociologi dei media ci dicono è che nella storia dei mezzi di comunicazione molto difficilmente (almeno finora) il nuovo sopprime il vecchio: lo obbliga semmai a riposizionarsi e rifondarsi ma non necessariamente comporta la sua estinzione. Vedasi quanto avviene alla radio, ad esempio. Su questo punto il giudizio di Bergamini è invece assai più oscillante.Ad esempio, rispetto al nuovo fenomeno della free press distribuita gratis ai semafori, si parla di «ulteriore calo dei quotidiani, che perdono copie sotto i colpi della concorrenza di Internet e della nuova stampa gratuita» (p. 391) ma poi si dice che i quotidiani gratuiti «non hanno eroso in modo rilevante il mercato dei quotidiani a pagamento» (p. 447). Per quello che se ne sa i lettori della free press sono diversi da quelli dei quotidiani, sono studenti, pensionati, casalinghe che ampliano la circolazione della carta stampata in ragione di un terzo del totale ma non producono nessun nuovo lettore per la stampa tradizionale. Il mercato cambia, si articola e si segmenta in relazione alla complessità sociale.Mi pare invece che la chiave di lettura prediletta da Bergamini sia essenzialmente politica: le vicende italiane e statunitensi ? ad esempio le pagine molto efficaci sul Sessantotto e dintorni ? sono analizzate soprattutto in questa luce. Il che, se si seguono le tesi di Sorrentino, corrisponde a un carattere originale di lungo periodo del giornalismo italiano: la sua vicinanza al Palazzo e la sua corrispettiva distanza dal pubblico dei lettori. Bergamini quindi ripercorre la storia del giornalismo in termini di spostamento «geometrico» lungo il continuum destra-sinistra. È una parte della realtà, ovviamente, ma non tutta. E forse nemmeno quella più significativa.

Giovanni Gozzini