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Paola Geretto (a cura di) – Statistica ufficiale e storia d’Italia: gli “Annali di Statistica” dal 1871 al 1997, Annali di Statistica, Anno 129, Serie X, vol. 21 – 2000

Paola Geretto (a cura di)
Istituto Nazionale di Statistica, Roma

Anno di pubblicazione: 2000

La statistica è lungi dall’essere il linguaggio esatto della realtà, costituendo piuttosto un fenomeno culturale, sociale e politico, indissolubilmente legato al proprio contesto. Ha osservato Lorraine Daston, a proposito della statistica ottocentesca, come i francesi prediligessero la conta dei criminali, gli inglesi dei poveri, i prussiani degli stranieri.
Curato da Paola Geretto e con scritti di A. Zuliani, P. Geretto, M.L. D’Autilia, G. Melis, D. Marucco, I. Scardovi, C.A. Corsini, M. Geddes da Filicaia, C. Barberis, G. Favero, U. Trivellato, C. Gnesutta, il volume 21 della serie X degli “Annali di Statistica” è un’utile messa a punto della storia della statistica italiana. Che è quanto dire della storia del paese. Cosa emerge infatti da quest’opera? Anzitutto, il flusso dei numeri demografici, scolastici, epidemiologici, produttivi ecc. e la loro analisi, elaborazione e interpretazione nella ricchissima – seppur discontinua – serie degli “Annali”. In secondo luogo, il progressivo ampliarsi delle competenze statali (“l’estensione delle funzioni pubbliche coincide con il bisogno di informazioni”, nota Carlo Corsini) e, al tempo stesso, la conferma di taluni caratteri della tipologia amministrativa nazionale, con le sue defaillances nel rapporto tra uffici e nell’impossibile coesione centro-periferia. In terzo luogo, uno specchio abbastanza fedele della storia della cultura italiana, delle sue vicende e articolazioni, delle sue guerre intestine dagli esiti mai scontati (si pensi a quella “vittoria del positivismo sull’idealismo soggettivo” di cui nel 1872 Angelo Messedaglia scriverà orgogliosamente a Emilio Morpurgo).
Lo studio dei numeri s’intreccia con le pratiche politiche. La statistica dei Gioia e dei Romagnosi era “strumento di congiura e di lotta fin dai primi moti del nostro risorgimento” (così ancora Messedaglia), “un’arma meno logora e spuntata delle lamentazioni storiche e degli anatemi poetici” (per dirla con Romagnosi). Diventa, nei primi anni postunitari, la statistica che asseconda – e in qualche misura, fonda – il nation building. Sarà poi la statistica crispina che riflette “il nuovo Stato paterno, preoccupato di prevenire, organizzare, regolare”, come scrivono D’Autilia e Melis. E via dicendo, fino alle stagioni assai meno intense del fascismo e dell’età repubblicana.
Si tratta di un percorso illuminante, che ha per protagonisti la burocrazia degli uffici, i tecnici centrali e periferici, gli scienziati e – come interlocutori, promotori, censori o manipolatori – gli uomini di governo. In tempi di linguistic turn, una prospettiva del genere ha il merito, fra gli altri, di collegare strettamente storia delle idee, storia politico-amministrativa e storia delle pratiche sociali. Dalle immagini visionarie dei pionieri patriottici alla dura antropometria niceforiana fino all’odierno consumismo di numeri e percentuali, la statistica non si rinchiude mai (né si lascia rinchiudere dagli storici) in una torre d’avorio.

Paolo Macry