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Paolo Ceri (a cura di) – La democrazia dei movimenti. Come decidono i noglobal – 2003

Paolo Ceri (a cura di)
Rubbettino, Soveria Mannelli, pp.213, euro 10,00

Anno di pubblicazione: 2003

La domanda ha notevole spessore storico: come affrontano i problemi dell’organizzazione politica e della rappresentanza ? in breve, della democrazia, – i movimenti ispirati all’antagonismo antistituzionale? La risposta è affidata ad alcuni gruppi che oggi si muovono nell’area no-global: Lilliput, con la sua strategia di lotta ?lillipuziana? contro le multinazionali (ne scrive Francesca Veltri); Attac Italia (Attac sta per Azione per una Tassa Tobin d’Aiuto ai cittadini, ovvero d’una tassa sulle transazioni finanziarie speculative, di Piero Finelli); la francese AC! (Agir ensemble contre le chômage, di Daniel Mouchard); la galassia dei Centri sociali e dei disobbedienti (Stefano Becucci); il CEeS, Commercio Equo e Solidale (Marco Rosi); gli anarchici (Patricia Chiantera-Stutte); i Social Forum (Gian Luca Fruci). Il problema istituzionale è per loro assai grave, sempre stretti come sono tra la necessità da un lato di darsi una qualche organizzazione che dia loro voce e ne permetta la visibilità e la mobilitazione e dall’altro di evitare rigidità istituzionali, gerarchizzazioni, burocratizzazione. Sentendo di più l’una o l’altra esigenza, i movimenti considerati alternativamente consistono in costellazioni di gruppi autonomi più o meno federati o invece si strutturano in assemblee, consigli, comitati esecutivi, etc. Comuni sono il rigetto della delega e l’idea della democrazia diretta, l’autonomia locale con qualche forma di coordinamento federativo, o reticolare, e frequenti consultazioni in genere appoggiate alle reti informatiche.
Oltre che l’agorà dei movimenti, internet è – accanto alle interviste – anche la fonte alla quale fanno largo ricorso gli autori del volume (senza peraltro discutere i relativi problemi di metodo). Il curatore è sociologo, ma diversi autori sono storici. Stupisce dunque che pur offrendo utilissimo materiale informativo, essi non indichino la sorprendente inconsapevolezza dei loro intervistati, che ricalcano i passi sempre ripercorsi da quanti hanno perseguito obiettivi movimentisti contrari alla rappresentanza, grosso modo tra la Comune di Parigi e il Sessantotto, oppure nell’esperienza cattolica di base. Salvo eccezioni (CEeS, ad esempio, ha base economica, più che politica, mentre va da sé che gli anarchici hanno denso retroterra storico), il discorso vale per le stesse esperienze organizzative ?nuove?, o per le parole d’ordine che ne sintetizzano le aspirazioni (il ?gettare la rete? di Lilliput, con i suoi ?nodi?, il ?guardare camminando zapatista?, il riconoscimento del leader naturale tra i Disobbedienti..), o gli esperimenti istituzionali, come ad esempio il ?metodo del consenso? praticato da Lilliput, che in sostanza rigetta il principio di maggioranza, non vincola i dissenzienti e pratica la mediazione (per la quale esiste un apposito ?facilitatore?). Il rifiuto della delega porta del resto a classici atteggiamenti antidemocratici: la sfiducia nel voto o nell’egualitarismo formale, la preferenza per il voto palese, etc.. Di tutto ciò è piena la storia della democrazia; perciò a me pareva che la questione avesse notevole spessore storico, come dicevo all’inizio. Ma forse mi sbagliavo. Forse tutto ciò è nuovo e originale, come sembrano pensare sia i noglobal, sia i loro esegeti

Raffaele Romanelli