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Paolo Gheda – I cristiani d’Irlanda e la guerra civile (1968-1998) – 2006

Paolo Gheda
Milano, Guerini e Associati, 293 pp., euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2006

Per trent’anni i troubles nell’Irlanda del Nord hanno segnato uno scenario di violenza, settarismo, odio, discriminazioni, di storie separate e identità collettive cristallizzate attraverso la rielaborazione della memoria storica a proprio uso e consumo. Si sono così trasportati i significati, simbolicamente e materialmente, nei vessilli e nei culti del passato: da un lato William d’Orange, la battaglia di Boyne (luglio 1690) e le conseguenti marce celebrative, proprie di una società di frontiera e figlie della «mentalità di assedio». Dall’altro i culti per la S. Vergine, per il papa, l’ecumenismo di S. Patrizio e il mito gaelico. Eppure la questione nordirlandese non può essere liquidata come una regressione verso uno scontro etnico e tribale. Entrambe le parti dell’isola appartengono infatti all’UE. Entrambe sono nominalmente delle democrazie politiche. Entrambe rivendicano apertamente il fatto di essere cristiane. Soprattutto la comune appartenenza cristiana delle due comunità viene affrontata da Paolo Gheda in I cristiani d’Irlanda e la guerra civile. Attraverso una meticolosa analisi dei documenti prodotti dalle Chiese irlandesi, Gheda ricostruisce il ruolo svolto da queste sul fronte del reciproco dialogo e del riconoscimento; dall’iniziale distacco della Chiesa cattolica d’Irlanda rispetto alla campagna per i civil rights e l’insorgere dei troubles, Gheda dipana via via i fili della dimensione religiosa delle comunità d’Irlanda, slegandoli dall’indistinta matassa di violenze e settarismi. Ne viene fuori un quadro spesso di incomprensione e confusione fra gerarchie e rispettive comunità d’appartenenza, dell’unanime, ma infruttuosa, condanna della violenza e della successiva presa di coscienza nei confronti del conflitto. Ma Gheda ricostruisce anche gli sforzi attuati per spostare il confronto interecclesiale dal piano teologico a quello aperto alla comprensione delle ragioni settarie del conflitto, la condanna delle condizioni di detenzione dei paramilitari di entrambi i fronti e le esperienze di percorsi condivisi di dialogo e rispetto reciproco. Le Chiese cristiane d’Irlanda hanno iniziato, prima ancora dei leader politici, il difficoltoso camminino del dialogo, seppure in un paese dilaniato dalla guerra; da un lato i nuovi indirizzi pastorali e dall’altro lo strenuo impegno di alcuni uomini di chiesa borderline, nel protestante quartiere di Shenkill così come nel cattolico Falls Road di Belfast, hanno inaugurato un nuovo dialogo ecumenico incentrato sul tema della giustizia contro quello della violenza, della tolleranza contro il settarismo. Appaiono indicativi, proprio agli inizi degli anni ’90, i progetti formulati dalle Chiese cristiane verso la difficile strada della pacificazione; essi contribuiscono a far maturare nelle Sei Contee la consapevolezza di avviare, specie dopo il ceasefire del ’94, un reale processo di pace in grado di pacificare entrambe le comunità. Gheda, nel complesso, ha affrontato l’annosa questione dei troubles dal punto di vista delle confessioni, e ne ha restituito una ricostruzione dettagliata certamente nuova rispetto alla storiografia e agli studi precedenti sulla guerra civile irlandese.

Roberto Bruno