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Paolo Murialdi – La traversata. Settembre 1943-dicembre 1945 – 2001

Paolo Murialdi
Bologna, il Mulino, pp. 137, euro 9,30

Anno di pubblicazione: 2001

?[?] viaggio di formazione?? di un giovane nella lotta di Resistenza. Ma anche riflessione sulle ?colpe degli esaltatori indiscreti, dei prigionieri di un sogno, di chi preferì memorie private e dei nemici di allora? nei confronti delle ultime generazioni le quali ?manifestano un ripudio della memoria storica che fa impressione?. E allora una narrazione ?antiretorica?, scarna, precisa e non cronachistica. Rievocazione di volti e di situazioni; in cui non è tuttavia decisivo il rigore filologico o dell’informazione. In cui conta il ritorno a una riflessione sui caratteri dell’esperienza partigiana, con un libro che per certi aspetti compare con quarant’anni di ritardo.
Notazioni scarne sul retroterra giovanile: le ragioni dell’adesione adolescenziale al fascismo (?si nutriva di umori e di speranze sociali?), dei motivi d’entusiasmo (?una fiammata per la campagna di Abissinia?), dell’insensibilità verso la campagna antiebraica. ?Un fatto occasionale mi svegliò?: accompagna alla partenza due sorelle ebree che fuggono. ?Avevo visto la loro angoscia, avevo capito che cosa fosse la persecuzione anche senza violenze fisiche?. E poi va in guerra: ?L’Italia era pur sempre la patria per noi giovani anche se eravamo delusi?. E l’armistizio, e una fase di attendismo; e poi l’idea ?che dovevo fare qualche cosa?; un collegamento occasionale e infine la scelta (le citazioni alle pp. 13-5).
Ricordi di luoghi, evocati con il piacere della memoria e della ricerca delle tracce delle azioni passate. Quasi una guida sentimentale alla guerriglia nell’Oltrepò. Con una grande nostalgia: rievocare ?il senso del noi, che avevamo potuto sentire in montagna nonostante tutte le differenze di idee, passioni e temperamenti?? (p. 99); che cederà infine alla malinconia dell’accettazione pessimista di un paese in cui ?c’è democrazia, ma incompiuta? (p. 128). Ma nel narrare leggero, quasi svagato, è pronta anche una riflessione ancor più amara e severa, sui caratteri di quel conflitto. ?Subiamo una guerra violenta, spietata e crudele. Anche da parte nostra si compiono violenze. La pratica della spietatezza e della crudeltà è l’eredità della guerra perduta, del fallimento del fascismo e della sua reincarnazione e dell’occupazione nazista?. Con differenze ?basilari? tra chi ?combatte per il nazismo e per il fascismo e chi per la libertà?. Per i metodi di lotta e per la diffusione del fanatismo che, avvicinandosi la fine, tra i neri ?si tinge di disperazione? (pp. 42 e 44).
La violenza emerge quindi come il tema più che sta a cuore all’uomo che riflette su quella stagione lontana. Ne nasce il rimprovero per una storiografia che ha scelto ?di non approfondire gli aspetti più foschi e crudeli di un conflitto che è stato anche una guerra civile? o che ha taciuto per ?non prendere in considerazione le storie personali di giovani sedotti in buona fede dal richiamo dell’onore o dal fascino di Mussolini? (p. 55). E l’apprezzamento per chi ha cercato di comprendere la complessità della vicenda storica sollevando il velo sulle responsabilità della parte ?buona?.

Luigi Ganapini