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Paolo Passaniti – Filippo Turati giuslavorista. Il socialismo nelle origini del diritto del lavoro, – 2008

Paolo Passaniti
prefazione di Umberto Romagnoli, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, XIII-349 pp., euro

Anno di pubblicazione: 2008

Ricercatore di Storia del diritto medievale e moderno presso l’Università di Siena, l’a. ha pubblicato nel 2006 (per Giuffrè) una Storia del diritto del lavoro in Italia nel periodo liberale e sta preparando un volume sul Diritto del lavoro nel ventennio fascista. Ed è nell’ambito di questi studi che ha maturato la scelta di dedicare una riflessione più specifica al ruolo del movimento socialista nelle dinamiche giuslavoristiche dell’Italia liberale, convinto che «una storia del diritto del lavoro non possa non nutrirsi di costanti riferimenti alla storia politica» (p. 1).La tesi di fondo dell’opera è che l’esperienza giuslavoristica italiana non si sia caratterizzata solo per il proprio ritardo, rispetto agli altri paesi capitalistici, ma abbia evidenziato contraddizioni e aporie tali da condizionare l’intera vicenda storica nazionale. La classe dirigente liberale – sostiene infatti l’a. – non aveva e non ebbe mai una propria coerente visione dei problemi giuridici derivanti dallo sviluppo dei moderni rapporti sociali di produzione, in particolare per quanto atteneva alla trasformazione dei contratti di lavoro da una dimensione strettamente privatistica e individualistica (la vecchia «locazione d’opera») a una dimensione sociale e collettiva; ma fu costretta, agli inizi del ’900, a fare i conti con l’emergere di una potente conflittualità legata alle condizioni di lavoro, di cui erano espressione tanto la formazione delle organizzazioni di classe quanto il peso politico-istituzionale del Psi. Da qui un complesso gioco di aperture riformistiche e di pervicaci resistenze, sfociato in una produzione legislativa incerta e monca, ma anche dai tratti paradossali, proprio per il ruolo che vi ebbero il movimento socialista e in particolare Turati, promotori e ispiratori in età giolittiana di gran parte delle leggi sul lavoro (soprattutto attraverso l’Ufficio del lavoro), senza tuttavia che le loro istanze per una modifica ab imis del sistema giuslavoristico venissero minimamente recepite. «Isocialisti – scrive Passaniti – hanno il programma, la maggioranza liberale la forza di agevolarlo o di bloccarlo» (p. 180), a seconda delle convenienze. Sino a che, dopo la guerra, il nodo gordiano del contratto collettivo non verrà sciolto per via autoritaria dal fascismo, attraverso una produzione legislativa che si ammantava dei concetti e del linguaggio del «nuovo» diritto del lavoro, nel medesimo tempo in cui sopprimeva le libertà sindacali e politiche.Si tratta di un libro denso, ricchissimo di rimandi alle fonti pubblicistiche e parlamentari dell’epoca, e senz’altro di grande utilità. Anche se molte questioni restano un po’ sullo sfondo, trattate in maniera ellittica o appena accennate: dal dibattito interno al Psi, soprattutto nei primissimi anni dopo la «svolta liberale» del 1901, al giudizio complessivo sull’età giolittiana (che sembra fermarsi al «riformismo senza riforme» di Ragionieri), dal ruolo dell’esperienza bellica (considerata solo di sfuggita) alla crisi politico-istituzionale del dopoguerra. Un’opera, comunque, che merita di essere letta e discussa.

Marco Scavino