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Paolo Simoncelli – L’ultimo premio del fascismo. Marino Moretti e l’Accademia d’Italia (Firenze, 21 aprile 1944) – 2005

Paolo Simoncelli
Firenze, Le Lettere, 2005, pp. 97, euro 8,00

Anno di pubblicazione: 2005

Titolo molto lungo per un saggio breve: si tratta infatti di un librettino della ?Piccola Biblioteca di Nuova storia contemporanea?. Approssimando per eccesso: una novantina di pagine (di 31 righe, di 52 battute). La vicenda ricostruita ? già nota, per grandi linee ? è piuttosto esile. Nel 1932 il Premio Mussolini dell’Accademia d’Italia doveva andare a Marino Moretti, ma Mussolini lo destinò a Silvio Benco per risarcirlo della mancata nomina accademica, avendogli preferito il Bertoni. Si diffuse allora la ?diceria? che Moretti dovesse pagare colpe politiche passate (aveva firmato il Manifesto Croce). Nel 1944, in una RSI in cui Gentile si faceva assertore di una conciliazione patriottica con l’antifascismo (o una parte di esso), la situazione si rovesciava. L’Accademia decideva di conferire il Premio Novaro a Vittorio G. Rossi, ma il ministro della Cultura popolare Mezzasoma (è questo il dato nuovo della ricostruzione) lo attribuiva d’autorità a Moretti: probabilmente, suggerisce Simoncelli, proprio per il suo antifascismo (e ciò come effetto della ?linea Gentile?). In realtà non ci sono evidenze documentarie per questa conclusione.
Personalmente sono del parere che gli eventi del 1932 (in questo saggio periferici) sono storicamente più rilevanti dell’epilogo del 1944 (che è assunto invece come centro). La vicenda peraltro, come ho detto, era abbastanza nota: raccontata dal Manara Valgimigli nel 1955 e dallo stesso Moretti in un’intervista del 1975. Del resto, se esposta in ordine cronologico, partendo dal 1932, tale vicenda ? per citare, in altro senso, le parole stesse di Simoncelli ? ?appare dissolversi e riordinarsi secondo una linea di assai più semplice ermeneutica (in linea dunque col minimalismo morettiano)? (p. 62). Ma Simoncelli parte dalla fine e risale avanti e indietro. Confeziona così un grazioso e gradevole ?piccolo puzzle? (p. 93) di ?vicissitudini con i premi letterari? (p. 95), ?d’una altrimenti vana cerimonia di liturgia accademica? (p. 19), con ?qualche pur minimo stridore? (p. 43) ?verso le ingiustizie ?minori’? (p. 85), ?quasi un appena puntar di piedi? (p. 43) (per la lettera stizzita di protesta di Ojetti a Mussolini). Insomma ?de minimis? (p. 84): ?alcuni fotogrammi di lavoro accademico? (p. 57) e ?qualche refolo di inedito carteggio? (p. 58). Il tutto nel clima sfatto e tetro ?e drammatico e malinconico? (p. 33) della RSI, cioè ?d’un intero mondo di valori ormai tracollato? (pp. 73-74): tra un Papini anziano, nervoso e mezzo cieco (p. 26) e un Ojetti ?malandato in salute? (p. 34), con in mezzo l’assassinio di Gentile.
Per coltivare ambizioni più generali, questo frammento di microstoria avrebbe dovuto essere indagato con altri strumenti ermeneutici per una psicostoria (o psicopatologia) di una fine, forzando ? sul piano interpretativo ? gli eventi e forse ?finendo col porli al centro di una vetrina di attenzioni dai vetri deformanti? (p. 13). E allora forse meglio così, anche se ? a un lettore indiziabile di ?sospetto gastronomico? (p. 31) ? resta ?poca polpa’. Restano, cioè, una scrittura buona e sorvegliata e una lettura, comunque, godibile.

Fulvio De Giorgi