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Paolo Viola – Il Novecento – 2000

Paolo Viola
Einaudi, Torino

Anno di pubblicazione: 2000

Quarto volume di una Storia moderna e contemporanea scritta con Adriano Prosperi, il libro è presentato dall’editore e dalla sua rete commerciale come un manuale universitario di narrazione storico-politica. Nonostante l’ampiezza, non sono gli eventi e la quantità delle informazioni a contrassegnarlo, con inevitabili scompensi e inesattezze, ma piuttosto un campionario di giudizi, riflessioni e sintetiche interpretazioni in spirito di radicale libertà e freschezza storiografica. Un “non addetto” ai lavori di storia novecentesca mette qui a frutto capacità mostrate direttamente nella parte settecentesca da lui scritta con sicura “affidabilità” in questa Storia. L’esito della visuale non specialistica è in genere felice, senza dichiarare appartenenze storiografiche o preoccupazioni erudite di evitare anacronismi e “scorrettezze politiche”. Così la guerra civile spagnola viene comparata al 1848 europeo, la Resistenza alla guerriglia rivoluzionaria d’epoca napoleonica, i fascismi al boulangismo e al clima antidreyfusardo, con molti altri rinvii al lungo periodo. Se eclettismo e anticonformismo sono la cifra implicita del libro, e nonostante chiaroscuri e flash di illuminazione artificiale, il Novecento di Viola è un secolo piuttosto buio, che si apre con una plumbea citazione di Solþenicyn e si chiude con la corruzione italiana di Tangentopoli: guerre totali mondiali e guerre civili, rivoluzioni abortite fallite e implose, totalitarismi, sterminio degli ebrei e bomba atomica, sfruttamento distruttivo dell’ambiente, perdita di varietà culturali e diversità antropologiche. La luce dell’innovazione tecnologica e del riscatto dei popoli coloniali è fioca, sempre sul punto di essere spenta da regressioni, fondamentalismi, “autogenocidi”, frammentazioni. Il quadro è volutamente opinabile, instabile, incostante. Il “suicidio dell’Europa” con il 1914-18 si tramuta nell’esportazione dei suoi modelli culturali e politici, del suo Welfare, delle sue utopie; il 1939-45 è una “gigantesca guerra civile” o “partita a tre” tra fascismo, comunismo, democrazia che prosegue nella “partita a due” del confronto bipolare americano-sovietico, ovvero il paradosso della più costosa minaccia industriale così sconvolgente da non poter essere messa in pratica – sempreché “la bomba atomica non dovesse più essere usata”. In ogni caso, dopo la seconda guerra mondiale “non ce ne sarà mai un’altra paragonabile, sulla quale si possa poi riflettere”.
E l’Italia passata da quasi un secolo di monarchia e fascismo ad una “Prima Repubblica” immobilizzata dalla Dc e dagli apparati dirigistici statali? È stata “un paese di frontiera, con tratti ambigui: un paese occidentale con alcuni aspetti di un paese socialista”, con una popolazione fra le più disincantate e secolarizzate (crescita demografica negativa) e insieme credula forse per la sua stessa sazietà, con una classe politica in gran parte consociativa e spesso corrotta, ma anche un paese “meno diverso dagli altri partner europei”, capace di transitare nella “blanda “rivoluzione” degli anni Novanta” per un approdo tuttora incerto o perplesso.

Marco Palla