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Paul Corner – Riformismo e fascismo. L’Italia tra il 1900 e il 1940 – 2002

Paul Corner
Roma, Bulzoni, pp. 271, euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2002

Si tratta di un volume di dodici saggi, dieci dei quali editi tra il 1972 e il 1998: un arco di tempo troppo lungo per una valutazione unitaria dell’opera, che peraltro rende disponibili lavori che hanno segnato tappe importanti nella storiografia. In particolare, La base di massa del fascismo: il caso di Ferrara (?Problemi del socialismo?, 1972), studio fondamentale sullo squadrismo e sul lassismo, condotto in uno dei luoghi ideali dell’uno e dell’altro. Corner rifletteva sull’intreccio tra fascismo radicale e fascismo padronale, e sulle motivazioni del fulmineo passaggio alle organizzazioni fasciste in una roccaforte del leghismo socialista, riconducendole alla forza-debolezza della tradizione sindacalista, e alla capacità dell’alleanza fascista-agraria di fornire risposte alternative alle esigenze dei lavoratori.
Devo dire che l’alto profilo di studioso che la raccolta documenta non trova un equivalente nelle suggestioni generali dei due primi saggi. Corner si pone il problema del fascismo come alternativa tra continuità e discontinuità, e, pur con le prudenze del caso (p. 21), propende per la prima soluzione; si chiede se possa parlarsi di un Sonderweg italiano, e risponde affermativamente, anzi sostiene che può parlarsene a maggior ragione che per la Germania. La rottura della guerra non gli sembra sufficiente per spiegare l’evento. Egli risale all’indietro, sottolineando la tradizione ribellista nelle campagne, nel segno di un conflitto sociale meno civilizzabile di quello industriale: che non a caso condurrà al fascismo. ?Malgrado la sua grandissima abilità nelle manovre parlamentari e nel giocare le forze politiche l’una contro l’altra, in definitiva Giolitti fallì la soluzione di quello che era allora il problema centrale della politica italiana: la legittimazione dello Stato agli occhi del popolo? (p. 35).
Questo tipo di spiegazioni sono spesso acute ma inducono a interpretazioni peggiorative di tutta la storia italiana, in base a discutibili confronti con altre esperienze nazionali, persino col liberalismo tedesco di età imperiale, che non mi sembra abbia fatto passi maggiori verso la democrazia rappresentativa. Non è vero, come sostiene Corner richiamando Ciccotti, che la merce dei ?rivoluzionari senza rivoluzione? sia ?una specialità italiana? (p. 37); essa anzi è tipica della II Internazionale, e dalla Germania in particolare. ?Diversamente che in molti altri paesi ? aggiunge ? in Italia la società di massa non si formò intorno a un obiettivo comune capace di creare uno spirito di mediazione e di conciliazione tra i diversi gruppi?, ma venne da una guerra non voluta, spia di conflitti da cui a sua volta nacque il fascismo (p. 55). C’è da chiedersi quali siano questi altri paesi usciti così concordi dalla guerra. Francia e Inghilterra, come al solito. Non certo la Russia, con la sua rivoluzione; né la Germania weimariana insidiata da opposte retoriche antirepubblicane; né i nuovi Stati dell’Europa orientale, con il loro nazionalismo antidemocratico ed etnicista; né la Spagna, tenutasi fuori dal conflitto ma caduta poi in una feroce guerra civile seguita da un’interminabile dittatura. In questi termini, siamo nel campo della tesi azionista del fascismo come ?rivelazione?, caratterizzata dai pregi e dai difetti dell’idea dell’eccezionalismo italiano.

Salvatore Lupo