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Perry R. Willson – La fabbrica orologio. Donne e lavoro alla Magneti Marelli nell’Italia fascista – 2003

Perry R. Willson
Milano, Franco Angeli, pp. 227, euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2003

Il volume, tradotto in italiano a dieci anni dall’edizione inglese (The clockwork factory. Women and work in fascist Italy, Oxford, Clarendon Press, 1993), ha costituito fin dall’inizio un lavoro poco allineato con le tendenze storiografiche prevalenti: si collocava infatti in un panorama in cui l’interesse per la ?storia della classe operaia? sembrava saturato, dopo le fortune degli anni Settanta, anche a causa del ridimensionamento del peso degli operai nella stratificazione sociale. A maggior ragione gli operai sono divenuti un oggetto poco visibile all’inizio del Duemila. Ma la relativa autonomia dalle scuole e dai raggruppamenti italiani hanno consentito all’autrice di coniugare in modo originale storia degli operai, uso delle fonti orali, storia della soggettività femminile e storia di impresa. La traduzione italiana di questo lavoro sulla Magneti Marelli di Sesto San Giovanni è dunque attuale anche come esempio di un metodo che intreccia analisi quantitative e qualitative, storia sociale e storia culturale.
Le operaie della Marelli ? impegnate in una produzione tecnicamente sofisticata e ad alto valore aggiunto ? costituiscono, se non un’aristocrazia operaia, una categoria difficilmente coniugabile con l’appiattimento verso il basso che caratterizza di solito l’inquadramento delle donne. Un nucleo problematico interessante, fra molti altri, riguarda il rapporto con le gerarchie aziendali. La forte etica del lavoro si allarga in una complessiva lealtà verso l’impresa, in un’accettazione delle gerarchie interne alla fabbrica. Così le ex operaie del reparto di avvolgimento delle bobine associano nel ricordo la caporeparto Luigia Pedroni, membro del Partito Fascista, alle immagini del dittatore e del generale, ma la apprezzano per la rigida disciplina cui sottoponeva le ragazze sia per la capacità di difenderle dalle eccessive pretese degli ingegneri in materia di tempi di lavoro.
Questo punto mette in luce un aspetto significativo del rapporto fra la cultura del lavoro delle donne e i valori del regime. Le testimonianze delle operaie lasciano trasparire una visione delle gerarchie della società di tipo organicistico che, anche se non trae diretto alimento dall’ideologia del regime, ne condivide alcuni presupposti. Le operaie portano dentro la fabbrica l’antica aspettativa, legata ai valori dell’?economia morale? preindustriale, di uno scambio fra deferenza e protezione. Alle figure che sono sovraordinate nella gerarchia sociale si garantisce lealtà in cambio di un controllo sugli abusi eccessivi. Al riconoscimento delle gerarchie aziendali si intreccia tuttavia una valorizzazione della funzione “modernizzante” del management, che fa pensare anche all’impianto, su questo sfondo tradizionale, di valori più propri di una democrazia industriale. Insomma, per richiamarsi con una suggestione a un dibattito oggi assai intenso, vi è forse una tratto ?toyotista? nell’identificazione delle operaie con l’impresa e con il management. Resta tuttavia da capire meglio (ma la ricerca della Willson resta principalmente incentrata sulla soggettività femminile), in che misura questo sentimento di lealtà verso l’impresa sia stato condiviso dagli operai di sesso maschile.

Alessandra Pescarolo