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Pina Travagliante – Nella crisi del 1848. Cultura economica e dibattito politico nella Sicilia degli anni quaranta e cinquanta – 2001

Pina Travagliante
Milano, Franco Angeli, pp. 177, euro 14,46

Anno di pubblicazione: 2001

Il sottotitolo è preciso: qui non si tratta di storia delle dottrine economiche, ma di storia della cultura economica, di ciò che è messo direttamente a disposizione di una classe dirigente locale, compiuta o in formazione, attraverso, manuali, lezioni universitarie, opuscoli, rapporti con istituzioni votate alla progettazione e allo sviluppo della pratica più che della teoria, come le Società economiche o gli Istituti di incoraggiamento. Ovviamente in questo senso il rapporto con il dibattito politico è stretto, sia per l’importanza della congiuntura esaminata, sia perché pressoché tutti i protagonisti sono politicamente impegnati, sicché anche la riflessione formalmente teorica risulta spesso evidentemente motivata da questioni concrete e quindi orientata a immaginarne e suggerirne possibili soluzioni.
Sul piano generale gli sforzi differenziati di personaggi come Scuderi, De Luca, Majorana, Bruno convergono su un obiettivo di fondo: contribuire alla critica delle posizioni smithiane e ricardiane contrapponendo a queste una scienza economica ?umanitaria?e ?sociale?, che poggia su una tradizione italiana, che va da Serra a Romagnosi, riletta alla luce delle posizioni recenti della scuola sociale francese, quella di Sismondi, Rossi, Chevalier. In questa prospettiva gli economisti siciliani affrontano questioni di fondo: la ricchezza, il valore, la rendita, il carattere scientifico dell’economia, la sua più opportuna denominazione, le sue articolazioni interne, i suoi rapporti con le altre scienze dell’uomo e della società. Ma le loro argomentazioni in proposito, che pure l’autrice segue spesso nel dettaglio, si ravvivano, come si è detto, quando ne è evidente il nesso stretto con il contesto territoriale e politico.
Nel corso del periodo esaminato questa parte del ceto intellettuale prende atto in primo luogo non solo del fallimento del riformismo borbonico, ma anche della sua incompatibilità con le esigenze siciliane. In secondo luogo tocca con mano l’esistenza di una questione sociale isolana che, in parallelo a quanto succede in Europa, interferisce in maniera imprevedibile e incontrollabile con le congiunture di conflitto politico aperto. La rilegittimazione teorica della rendita, la valorizzazione di attività medio e piccolo borghesi sospettate di essere improduttive, il tracciato di un percorso stretto e accidentato per l’indispensabile iniziativa pubblica di sostegno allo sviluppo, all’interno della quale un ruolo centrale è riservato alle élites intellettuali, sono fra gli elementi più importanti che vengono messi in circolo, attraverso la cultura economica, come risposte possibili. L’ultima di queste è particolarmente interessante, perché premessa, e potenziale elemento di verifica, per il ruolo che i gruppi dirigenti siciliani giocheranno, nella seconda parte del secolo, in un contesto politico istituzionale profondamente diverso da quello del regno borbonico.

Giuseppe Civile