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Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati

Chiara Ferrari
Milano, Unicopli, 230 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2014

Il volume fa seguito alla realizzazione del documentario Cantacronache 1958-1962:
politica e protesta in musica, realizzato nell’ambito del Master in Comunicazione storica
dell’Università di Bologna di cui Chiara Ferrari è coautrice. Attraverso la storia del gruppo
di musicisti e intellettuali torinesi, che a partire dal 1957 diedero vita ai Cantacronache,
l’a. propone una più ampia riflessione su musica, politica e società negli anni del boom
economico, e sulla ricaduta nella canzone di protesta nei decenni a venire.
Specularmente all’obiettivo del collettivo torinese di opporre una canzone di qualità,
per testi e contenuti, alla canzonetta di consumo, la chiave di lettura di questo studio
«guarda ai testi, soprattutto, al contenuto espresso dalle parole, tralasciando l’elemento
musicale e quello dell’interpretazione» (p. 11), come annunciato nell’introduzione sul
tema «Le canzoni sono fonti per la storia contemporanea».
Il libro si apre con i profili dei prestigiosi protagonisti e principali collaboratori –
Fausto Amodei, Margherita Galante Garrone, Emilio Jona, Andrea Liberovici, Michele
Straniero a cui si aggiunsero Pogliotti, Fortini, Calvino, Eco, Rodari – per poi dispiegarsi
in una narrazione che ha il merito di tratteggiare alcuni aspetti decisivi della relazione
tra Cantacronache e Pci: vale a dire la vicenda della casa di produzione discografica Italia
Canta «molto vicina al Partito Comunista che in quegli anni incoraggiava la diffusione
della canzone politica» (p. 35). Proprio il ruolo affidato a Italia Canta dimostra, tuttavia,
che lo stesso Pci nei primi anni ’60 è consapevole che la grande sfida per interpretare una
società travolta dalla modernizzazione e dai suoi totem non si può raccogliere «per mezzo
di un saggio, di un articolo o di un romanzo, ma attraverso il nuovo versatile oggetto di
consumo: la moderna canzone» (p. 34). Insomma, non solo le parole e i versi, ma anche
e soprattutto la musica risulta essere decisiva per trasmettere un messaggio politico o di
protesta; così come decisivo è il ruolo rivestito dall’edizione musicale che ne promuove
il progetto.
Ci si chiede allora se il cuore di questo lavoro, vale a dire la sola analisi testuale dei
brani musicali che hanno messo in luce e denunciato le ferite che il boom non ha sanato
ma anzi aggravato, risponda esaustivamente all’obiettivo di utilizzare la canzone come
fonte per la storia contemporanea. E se invece l’uso delle fonti sonore non costringa
lo storico contemporaneista a confrontarsi con la complessità metodologica che i mezzi
di comunicazione di massa impongono: la storia economica e politica delle edizioni e
dell’industria musicali innanzi tutto, così poco battuta ma indispensabile per superare la
scivolosa distinzione tra le canzoni del paese reale e del paese legale; e, in secondo luogo, a
tenere in conto la portata di linguaggi e ritmi musicali, essi stessi agenti di cambiamento
in grado di accelerare processi politici e sociali in divenire.

Marilisa Merolla