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Quando la Sicilia fece guerra all’Italia

Alfio Caruso
Milano, Longanesi, 315 pp., € 17,60

Anno di pubblicazione: 2014

Il volume ricostruisce il breve periodo della storia siciliana compreso tra il 1943 e il
1950. In esso l’a., che è giornalista e scrittore di numerosi romanzi thriller politici e di mafia,
ripercorre essenzialmente la parabola dell’indipendentismo, indirizzando la propria
attenzione, oltre che sulla figura del bandito Giuliano, anche, e soprattutto, attorno alla
vicenda umana e politica di Andrea Finocchiaro Aprile e Antonio Canepa, le cui ambizioni
s’incontrano e si scontrano con le più generali condizioni dei rapporti tra la Sicilia,
gli angloamericani e il nuovo Stato nazionale.
Il volume si apre, infatti, con la descrizione del viaggio compiuto nell’inverno del
1942 da Finocchiaro Aprile da Roma verso la Sicilia «per sfuggire al controllo sempre
più stretto dell’Ovra» (p. 7), nel mentre, sostiene l’a., coltivava già il progetto di staccare
l’isola natia dal resto dell’Italia. Si dipana, da qui in avanti, un racconto avvincente, cha a
tratti assume i toni di una spy story, ma che è pure sostenuto dalla passione e approfondita
conoscenza dell’a. della vicenda storica, entro cui prendono posto una miriade di personaggi
e di fatti, a comporre un quadro che restituisce a chi legge, senza troppo affaticarlo,
la complessa partita giocata da una parte dai ceti dirigenti siciliani a tutela dei propri interessi.
Sul punto l’a. è forse sin troppo esplicito, individuando, in fondo, le responsabilità
di quanto accaduto in quel partito unico dei siciliani la cui fisionomia aveva già descritto
in un libro del 2002 (Perché non possiamo non dirci mafiosi).
Appare poco credibile però, sul piano storico, l’esistenza di un gruppo ristretto di
persone volte alla gestione del potere e capace di tessere le fila di progetti dissennati ascrivibili,
il più delle volte, al disegno di singoli protagonisti, sebbene l’a. sia molto bravo a
muoversi nel groviglio, quasi inestricabile, degli interessi particolari e delle trame oscure,
gli uni e le altre, descritte in maniera esemplare. Se è vero, infatti, che nel processo di
crescita della società isolana la forza dei singoli e delle famiglie di appartenenza sia stata
soverchiante e che ciò abbia condizionato tanto il processo di formazione dell’opinione
pubblica, quanto quello di radicamento dei partiti di massa, vero è altrettanto, che leggere
le alterne vicende della storia siciliana e del movimento indipendentista a partire dall’individuazione
di un’unica struttura organizzativa, capace di volta in volta di piegare ai suoi
fini il corso degli avvenimenti, appare quanto meno una forzatura interpretativa.
Se invece l’esistenza di un partito unico degli interessi che raggruppa imprenditori,
professionisti, politici, mafiosi e affiliati alla massoneria, come è più logico ritenere, rappresenta
solo una metafora della storia di un potere che per essere spiegato deve essere
colto nelle sue diverse ramificazioni e articolazioni, allora tutta la vicenda assume una
connotazione diversa. In tale quadro, gli intrighi, le ambiguità e le connivenze tra politica
e malaffare diventano il filo conduttore di una serie di avvenimenti che, come ben evidenzia
l’a., lasciano sul campo un numero elevatissimo di morti.

Luigi Chiara