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Raffaele Liucci – Spettatori di un naufragio. Gli intellettuali italiani nella seconda guerra mondiale – 2011

Raffaele Liucci
Torino, Einaudi, 237 pp., Euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2011

L’intellettuale militante è stato il protagonista indiscusso di una temperie culturale, quella del primato della politica, e, conseguentemente, di una lunga stagione storiografica che ha evidenziato la entusiastica collaborazione degli intellettuali alla diffusione delle ideologie e il loro rapporto organico con i partiti e con i movimenti di massa nell’Italia del ‘900. La scelta dell’a. di attirare l’attenzione su quegli intellettuali che, nell’epoca del trionfo delle ideologie, si cimentarono nell’impopolare elogio della «torre d’avorio» è probabilmente il sintomo e la conseguenza del declino del ruolo sociale non solo dell’intellettuale engagé, ma dell’intellettuale tout court.La retorica della renitenza all’impegno è seguita nelle tre fasi del regime fascista, della guerra e poi della democrazia repubblicana. La categoria di «zona grigia» è utilizzata per leggere le esperienze di intellettuali che rifiutarono il dovere dell’impegno e, soprattutto di fronte alla tragedia della guerra e della guerra civile, scelsero di appartarsi dal moto vorticoso della storia per ritirarsi in una metaforica «casa in collina». L’a. guida il lettore, con competenza e vivacità espositiva, alla lettura di opere meno note di scrittori e giornalisti ben noti (tra gli altri, Buzzati, Montale, Tecchi, Moravia, Soldati, Alvaro, Forcella, Calamandrei, Brancati) e alla scoperta di autori minori e di opere dimenticate, che vien voglia di conoscere per intero. Chi sono, nel complesso, gli «spettatori» del titolo? In realtà, si tratta di personaggi assai diversi tra loro, per appartenenza generazionale, gusti letterari, orientamenti politico-culturali: disimpegnati per indole, vitalisti irriducibili agli schemi della politica, pessimisti e scettici per vocazione o per professione, renitenti a tutte le cause, oblomoviani innamorati dell’inazione, ma anche disillusi dal fascismo, individui capaci di tenere ferme le ragioni dell’umanità di fronte alla barbarie della guerra, intellettuali consapevoli – per la verità una ristrettissima minoranza – del loro ruolo di «chierici della verità».Il merito principale del lavoro, a fronte delle molte semplificazioni continuamente riproposte da quell’incerto, quanto fortunato, genere che si colloca a cavallo tra storiografia e giornalismo, è quello di restituire la complessità degli itinerari seguiti dagli intellettuali nel tornante fascismo-guerra-Repubblica. Non convince, perché non sufficientemente argomentato e in assenza di un confronto più serrato con la storiografia sul tema, il giudizio sul fallimento del progetto fascista di stimolare l’«interventismo della cultura» (p. 55). Dando un eccessivo credito a ricostruzioni effettuate ex-post dai protagonisti per minimizzare le proprie responsabilità, si rischia di tornare a sostenere che il rifugiarsi in una sfera intimistica avesse salvaguardato la cultura da contatti impuri con il regime. Come avverrà anche nel dopoguerra, negli anni del regime il disimpegno e la resistenza alla mobilitazione degli intellettuali furono posizioni minoritarie e non compatibili con la retorica e la pratica dominanti.

Luca La Rovere