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Raffaele Reina – I popolari a Napoli. Dalla nascita del partito all’avvento del fascismo – 2005

Raffaele Reina
Napoli, ESI, pp. 144, s.i.p.

Anno di pubblicazione: 2005

Esiste una ?questione meridionale?, ha scritto Piero Borzomati, anche all’interno della Chiesa cattolica. Nelle regioni del Centro-nord il movimento cattolico, con la costituzione dell’Opera dei congressi (1874), aveva intrapreso un’azione sistematica di penetrazione nella società, soprattutto nelle campagne ? casse rurali, istituzioni assistenziali, circoli giovanili ? creando una rete organizzativa che, pur senza partecipare alla lotta politica, faceva sentire la sua presenza. La Rerum Novarum, fornendo al movimento una base dottrinale, dette impulso alla sua crescita e gli consentì di estendere la propria sfera d’influenza negli ambienti operai. Il Partito popolare poté quindi contare, già all’atto della sua nascita, su di una moderna struttura di massa, autenticamente interclassista, con una propria organizzazione sindacale. La laicità del partito, teorizzata da Luigi Sturzo in termini di autonomia dalle gerarchie cattoliche nelle scelte politiche, aveva qui il suo fondamento reale e quando questa venne rudemente intaccata dal Vaticano, che accettò la defenestrazione di Sturzo voluta da Mussolini, il nucleo originario del partito entrò in crisi. La ?questione meridionale? incide invece su tutte le formazioni politiche operanti nel Mezzogiorno e le cause vanno ricercate nella composizione e nella storia della società meridionale. La sua particolarità per quanto riguarda il movimento cattolico sta nel fatto che mentre nelle regioni del Centro-nord il legittimismo nei confronti del potere temporale ha una carica modesta ? poco più che una nostalgia ?, nel Sud il clero e i ceti che ne sono influenzati restano in maggioranza borbonici, chiusi agli influssi delle nuove correnti culturali.
Nel suo saggio Reina ricostruisce con puntualità la fievole storia dei popolari a Napoli, con una rapida, ma lucida introduzione che parte dall’unificazione d’Italia e che tratteggia i caratteri del movimento cattolico, torpido e chiuso a ogni idea nuova, intriso di passivo spirito clerico-legittimistico. Il travaglio culturale e morale da cui nasce il disegno di Sturzo ? un partito ?aconfessionale? e democratico, con profonde radici nel paese, una riforma elettorale che elimini il trasformismo, la modernizzazione dell’apparato statale, la collocazione della questione meridionale quale problema primario della politica nazionale ? non penetra nella cultura del popolarismo napoletano. I drammatici eventi che ne segnano la breve vita (la marcia su Roma, la legge Acerbo, l’assassinio di Matteotti e l’Aventino) lacerano la fragile compagine e la portano a ingloriosa dissoluzione. Pochi sono i personaggi che salvano la propria dignità: con uno di essi, Silvio Gava, mio collega al Senato, ebbi sul tema alcune conversazioni. Giovanissimo, egli aveva partecipato, in concorrenza coi socialisti, al movimento di occupazione delle terre. Dopo la Liberazione fu tra i pochi dirigenti democristiani a pronunciarsi per la Repubblica. Il suo giudizio sul Partito popolare napoletano rimaneva severo: l’originalità e l’organicità del programma sturziano erano rimaste patrimonio di pochi, sostanzialmente estranee al corpo del partito.

Gaetano Arfé