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Rinaldo Comba, Bruno Guglielmotto-Ravet, Emanuela Lavezzo e Gustavo Mola di Nomaglio – Luigi Cibrario d’Usseglio cittadino torinese (1802-1870) – 2002

Rinaldo Comba, Bruno Guglielmotto-Ravet, Emanuela Lavezzo e Gustavo Mola di Nomaglio
Lanzo Torinese, Società Storica delle Valli di Lanzo, LXXIV, pp. 192, pubblicazi

Anno di pubblicazione: 2002

Senza dubbio il personaggio oggetto di questa biografia merita notevole attenzione: studioso e alto burocrate sabaudo, fu uomo di fiducia di Carlo Alberto negli anni delle lente riforme e delle faticose mediazioni tra reazionari e liberali; nel 1848 fu commissario regio a Venezia; l’anno seguente venne inviato dal Senato a Oporto presso Carlo Alberto e alla morte del sovrano ne organizzò i funerali. Dal maggio 1852 fino all’aprile del 1856 ebbe responsabilità di governo, alle Finanze nell’ultimo ministero d’Azeglio, alla Pubblica Istruzione nel primo governo di Cavour, che gli affidò pure il portafogli degli Esteri durante la guerra di Crimea. Ma non solo: dal 1852 fu anche il primo segretario dell’Ordine mauriziano, carica importantissima per l’ingente patrimonio dell’ente e il grande traffico di onorificenze e di titoli che ruotava intorno ad esso, e negli ultimi anni di vita presiedette la Consulta araldica. A tutto questo però il volume della Società Storica delle Valli di Lanzo aggiunge poche notizie inedite, scegliendo invece altre strade, oltre a un ricco apparato iconografico: la sua attività letteraria, con il saggio di Guglielmotto-Ravet; l’opera di storico, nella riedizione di un pregevole saggio di Comba; l’acquisizione del titolo nobiliare e la sua idea di nobiltà, ricostruite da Mola di Nomaglio; il rapporto tra il notabile e la piccola patria d’origine, ripercorso da Lavezzo. È in questi ultimi saggi che la prospettiva di analisi subisce forse un’eccessiva contrazione, che finisce col limitare la ricerca. Ad esempio, Lavezzo segnala che nel 1848 “un gruppo di vandali si intrufolava in chiesa, ove distruggeva una lapide marmorea che ricordava una beneficenza fatta ad Usseglio dal marchese Lascaris e toglieva dall’altare del Rosario lo stemma della famiglia Cibrario”, ma non si chiede se questo fatto increscioso possa avere avuto qualche attinenza con quanto stava avvenendo in Italia e in Europa. Il contributo di Mola di Nomaglio non ha di queste ingenuità, tuttavia anch’esso mi pare risentire di un’ottica di ?appartenenza? che finisce col condizionare l’indagine dello studioso: al centro non c’è l’ambizione tenacemente perseguita da Cibrario di veder riconosciuto alla propria famiglia il possesso di una nobiltà antica, non accettando egli solo i titoli giunti in considerazione dei suoi meriti personali, ma piuttosto un vero e proprio giudizio sulla appartenenza o meno della sua famiglia alla nobiltà pre-rivoluzionaria, già risolta in senso negativo dagli osservatori contemporanei, mentre maggiore spazio avrebbe meritato il confronto con altri casi analoghi in Piemonte e non solo ormai appurati dalla storiografia.

Silvano Montaldo