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Robert Calvet – Storia del Giappone e dei giapponesi – 2008

Robert Calvet
Torino, Lindau, 511 pp., euro 26,00 (ed. or. Paris, 2003)

Anno di pubblicazione: 2008

Il volume, nella versione originale intitolato Les Japonais: histoire d’un peuple, è diviso in cinque parti articolate in venticinque capitoli, oltre a una conclusione. Come attestano sia l’unico lavoro dell’a. indicato nel risvolto di copertina (Les Américains, Paris, 2004), sia le molte imprecisioni lessicali e carenze interpretative, sia l’assai limitata bibliografia in francese e inglese che elenca pochissime opere di autori giapponesi, peraltro tradotti, non si tratta di opera di uno storico del Giappone.Pochi esempi tra i molti possibili. Nel quindicesimo capitolo, Tokugawa Ieyasu, in quanto sh?gun («comandante militare») sarebbe stato riconosciuto come sovrano (p. 220), mentre egli è un daimy? (feudatario) prius inter pares e, almeno formalmente, riceve la delega al comando politico dall’imperatore che, pur privo di potere reale, in quanto sommo sacerdote è il sovrano. Il capitolo diciannovesimo considera il tracollo del feudalesimo e la prima modernizzazione (sino agli anni ’20). Su questo periodo manca completamente l’individuazione del blocco di potere che guidò la trasformazione e la successiva espansione coloniale: comandi militari e alti funzionari civili (ex samurai), Corte imperiale e famiglie proprietarie di zaibatsu («cricca finanziaria») che concentrano capitale finanziario, industriale e commerciale. Sull’analisi della politica internazionale pesano alcune genericità. Non sono comprensibili i motivi dell’alleanza con l’Inghilterra (p. 337) se si dice genericamente che, dopo la vittoria contro l’Impero cinese nella guerra del 1904-1905, «le potenze occidentali esigono [?] una revisione» del Trattato di pace (p. 336) e non si menziona il Triplice Intervento di Russia, Francia e Germania. Nulla viene detto sulla sconfitta diplomatica del Giappone alla Conferenza di Versailles, rendendo, quindi, incomprensibile l’ulteriore acuirsi del nazionalismo giapponese delle spinte espansionistiche del blocco di potere. Non vengono citati i «governi di partito» (1924-32), unica fase (tra il 1890 e il 1945) durante la quale i governi furono espressione della maggioranza parlamentare. Su questo periodo, solo alcuni cenni al regime fascista giapponese che non si instaurò, secondo l’a., in Giappone. La questione ha dato e dà luogo sin dal 1946 a una controversia storiografica. Tuttavia, non si possono liquidare gli anni ’30 come fase di dominio dei soli militari, ignorando la teoria del fascismo giapponese di Maruyama Masao ? per così dire, il Norberto Bobbio giapponese ? senza almeno un accenno alla sua opera maggiore, peraltro tradotta in inglese. Nel capitolo ventunesimo, in riferimento alla Costituzione postbellica, colpisce l’affermazione che la nuova Carta proibisce «al Giappone di possedere un esercito»; vero solo formalmente in quanto il Corpo di difesa nazionale, costituito durante l’occupazione statunitense, è formato, per le forze di terra, di mare e d’aria, da oltre 200.000 effettivi di carriera. Nel capitolo ventitreesimo, nessun cenno ai finanziamenti statali per il superamento (che avvenne con grande successo) della crisi petrolifera del 1973. Queste, alcune delle lacune e distorsioni interpretative del volume.

Francesco Gatti