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Robert H. Wiebe ( a cura di Tiziano Bonazzi) – La democrazia americana – 2009

Robert H. Wiebe ( a cura di Tiziano Bonazzi)
Bologna, il Mulino, 450 pp., euro 40,00 (ed. or. Chicago, 1995)

Anno di pubblicazione: 2009

Il libro di Wiebe, uscito in traduzione italiana, venne pubblicato nel 1995. Pur risentendo del clima di guerre culturali degli anni ’90, il testo continua ad avere una sua forza interpretativa per la ricostruzione affascinante che offre del processo di ascesa e declino della democrazia americana. Ascesa che l’a. colloca a partire dagli anni ’20 dell’800 quando i risvegli religiosi, i mutamenti economici e sociali, la nascita dei partiti contribuirono a mettere fine all’ordine gerarchico e alla società deferenziale post rivoluzionari. Un tumultuoso sviluppo che diede vita al primo, vero esperimento democratico fondato sull’idea di autogoverno popolare che, come avverte Bonazzi nell’introduzione, era specificato da un individualismo «inteso sia come autodeterminazione sia come realizzazione personale» e che si sviluppava non in antitesi ma assieme e all’interno di una società basata su una centralità, altrettanto significativa, delle comunità, fossero esse locali o religiose, fraternities, associazioni filantropiche, partiti od organizzazioni operaie. Forma e sostanza della democrazia ottocentesca – quella più autentica per Wiebe – era il self-rule, il comandare su se stessi e niente come il lavoro autonomo ne era il simbolo. Il lavoro come «inno nazionale» (p. 65) divenne metro di misura per determinare chi era dentro o fuori la nazione. E le barriere erano a volte impenetrabili (per i nativi americani, gli afroamericani), altre più permeabili (i lavoratori salariati, gli immigrati bianchi, in maniera peculiare le donne bianche), determinate dalle linee del colore e del genere. L’assetto democratico statunitense andò in pezzi, per l’a., fra ’800 e ’900, per gli effetti dei processi di trasformazione economica e sociale che portarono a una vera e propria «demolizione del popolo». L’accentramento politico ed economico, il rafforzamento dello Stato, l’emergere dei gruppi di interesse costituirono una sfida al principio stesso di autorità. La scienza divenne la nuova fonte di legittimità politica, marginalizzando i rituali propri della democrazia maggioritaria, a favore di procedure razionali ed efficientiste portate avanti dagli esponenti della nuova classe media urbana e professionale, espressione del processo di modernizzazione. Un processo antidemocratico, per Wiebe, guidato dalle grandi élites tecnocratiche che non si fondava più sull’idea ottocentesca degli «uguali ma separati, separati ma uniti», ma su nuove gerarchie e stratificazioni sociali meno fluide, su un individualismo sempre meno comunitario e più consumistico.Uno scenario desolato, quello novecentesco offerto da Wiebe, non privo di una certa schematicità, ma che solleva interrogativi che devono ancora trovare risposta.

Raffaella Baritono