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Roberta Michieli, Giuliano Zelco (a cura di) – Venezia Giulia. La regione inventata, – 2008

Roberta Michieli, Giuliano Zelco (a cura di)
Udine, Kappa Vu, 293 pp., euro 23,00

Anno di pubblicazione: 2008

Il volume collettaneo contribuirà certamente ad animare l’intenso dibattito – politico, mediatico e per fortuna anche storiografico – che negli ultimi anni si è sviluppato sul tema del nostro confine orientale nel ’900, in particolare sulle foibe e sull’esodo degli italiani dalle regioni annesse alla Jugoslavia. La nutrita schiera dei partecipanti è infatti nota al pubblico locale (triestino/friulano), oltre che per la serietà scientifica, per un attivismo politico che li rende esempi viventi del mondo di confine che raccontano. Si tratta di ricercatori non accademici, accomunati dal riconoscersi in un’identità nazionale plurale, non – o non solamente – italiana, Questa varietà contribuisce a fornire un punto di vista alternativo a quello nazionale (o nazionalista) italiano, su una regione storicamente contesa a cavallo di diverse aree culturali-nazionali.Ma di che regione si tratta? La costruzione del testo trae spunto da una premessa incontrovertibile, cioè che il termine «Venezia Giulia», che designa un’area geograficamente ambigua al confine orientale d’Italia, sia un’invenzione ideologica recente e non consenta di identificare una realtà con caratteri storici, politici e culturali univoci. Tale denominazione nasce a fine ’800, si impone dopo la prima guerra mondiale e rimane in uso nel secondo dopoguerra (quando gran parte del territorio cui fa riferimento passa sotto sovranità jugoslava) con una esplicita funzione irredentista. Si sottolinea dunque l’indebita appropriazione simbolica di questa regione da parte del nazionalismo italiano attraverso l’incessante e continuo utilizzo del termine «Venezia Giulia», che evoca un’appartenenza romana e veneziana di terre che storicamente hanno subito un’influenza culturale o una presenza statuale italiana solo marginale, e che oggi vengono considerate «perse», ingiustamente amministrate da Slovenia e Croazia. Numerosi saggi rendono invece giustizia di un’area molto variegata da un punto di vista socio-culturale, plurilingue, multinazionale, i cui confini sono cambiati molte volte nel corso dell’ultimo secolo, e che certo solo artificialmente si può definire tout court italiana (o «italianissima», secondo il gergo fascista e neofascista).Alla varietà dei temi proposti (dalle rivolte contadine cinquecentesche alle denominazioni dei vini Igt!) e all’ampio arco cronologico (dal medioevo alla più stretta contemporaneità) si accompagna un forte dislivello fra saggi molto documentati e interventi improntati soprattutto alla polemica politica. La parte centrale del volume, dedicata alla «questione friulana», pur contribuendo a rendere più complesso il quadro di riferimento, rischia di annacquare la tesi interpretativa di fondo con una polemica localistica legittima ma poco comprensibile per un lettore italiano. Che l’appartenenza identitaria friulana sia rimasta schiacciata (e ancora lo sia) tra l’espansionismo veneziano e il mito della latinità alto-adriatica è un fatto. Tuttavia, mi pare che tale evoluzione esuli dal tema che dà il titolo a questo volume, a meno che non si voglia dare alle attuali province di Trieste e Gorizia un’etichetta friulana altrettanto parziale di quelle slovena, italiana o germanica.

Erik Gobetti