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Roberto Bianchi – Pace, pane, terra. Il 1919 in Italia – 2006

Roberto Bianchi
Roma, Odradek, 237 pp., euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2006

Il volume ha l’obiettivo di uscire dalla consueta visione del 1919 come «anno del disordine» o del «massimalismo parolaio». Il Diciannovismo, sinonimo di irrazionalità e di eversione inconcludente, è stato il frutto di una storiografia politica tradizionale poco incline ad analizzare quanto avviene fuori della dimensione strettamente organizzativa dei partiti e dei sindacati, poco attenta alle culture sociali e alla loro autonomia. Per questo occorre ?smontare’ il 1919 per individuare le tre grandi questioni ? richiamate nel titolo ? al centro di mobilitazioni popolari che seguono una loro logica. Così il lavoro segue questa partizione: la prima parte è dedicata alle lotte contadine, la seconda ai moti annonari, la terza allo sciopero internazionale per la pace. Sono lotte, sostiene l’autore, che non possono essere interpretate esclusivamente sulla base della dicotomia rivoluzione/controrivoluzione o vittoria/sconfitta, ma alla luce di un intreccio di fattori politici, ideologici e sociali che compongono una realtà «ibrida» fatta di momenti organizzati e rivolte spontanee; di elementi «moderni», come la politicizzazione e la sindacalizzazione di massa, l’esempio bolscevico e le guardie rosse, e di forme tradizionali di sommossa, come l’assalto ai forni, le rivendicazioni per il «giusto prezzo» o per il controllo degli usi civici. È una combinazione di mobilitazione sociale ? eredità diretta della mobilitazione bellica ? e lotta politico-sindacale difficile da governare con gli strumenti dello Stato prebellico, con la crisi di idee della vecchia classe dirigente, con l’inadeguatezza culturale di fronte alla trasformazione del rapporto tra Stato e società che manifesta il ceto liberale.Questo convincente impianto interpretativo si dispiega efficacemente in particolare nelle pagine dedicate alle lotte per la terra e contro il caroviveri: qui la veloce smobilitazione delle «bardature di guerra», in primo luogo delle politiche alimentari, il risentimento popolare per le promesse non mantenute, l’aspirazione al cambiamento appaiono come elementi decisivi per la nascita delle lotte sindacali, dei tumulti annonari e del «risveglio dei contadini» contro l’egemonia dei «signori della terra». In queste lotte, anche quelle più «spontanee», ci sono obiettivi ben precisi e proposte politiche, «se diamo alla politica un senso ampio, senza limitarla alle iniziative delle élite che controllavano le istituzioni liberali o, per altri versi, che dirigevano i movimenti operaio e socialista, o quelli anarchici, sindacali, combattentisti» (p. 42).Il 1919 non fu una rivoluzione, ma presentò tratti rivoluzionari, fu un insieme di movimenti difficile da unificare, molto di più di un insieme di rivolte disordinate. Lo scontro violento che ne seguirà, conclude Bianchi, non è conseguenza del «massimalismo», ma della volontà di riscossa di un variegato fronte conservatore che si contrappone frontalmente al nuovo protagonismo del mondo del lavoro. Infatti, l’incontro tra iniziativa popolare e mondo socialista e sindacale ? pur con limiti e incomprensioni ? aveva costituito la peculiarità di quell’anno, così come la mobilitazione di massa era stata la vera novità del dopoguerra, eredità della guerra mondiale destinata a connotare la successiva storia del ‘900.

Lorenzo Bertucelli