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Roberto Maiocchi – Gli scienziati del duce. Il ruolo dei ricercatori e del CNR nella politica autarchica del fascismo – 2003

Roberto Maiocchi
Roma, Carocci, pp. 329, euro 25,50

Anno di pubblicazione: 2003

L’autore si interroga sul rapporto tra scienza e autarchia in Italia: fu quest’ultima una creatura indipendente del fascismo in contrasto con le idee degli scienziati? Oppure fu in sintonia, anzi vi trovò ispirazione e conforto? Gli scienziati e i tecnici italiani profusero un grande impegno per il progetto autarchico, risponde Maiocchi, che così vuole opporsi alla visione accolta comunemente (ma lo è?) dell’autarchia fascista: un’improvvisa irrazionalità che si impose sulla razionalità scientifica. Non solo. L’autore sostiene che nella scienza di età liberale c’erano già le idee che sancirono quella scelta politica: gli esponenti ufficiali della ragione scientifica ne furono dunque i precursori. Almeno in Italia, di cui solo si parla (ma l’autarchia ebbe dimensioni internazionali, e anche la scienza). La tesi di una via anticipatrice del fascismo ? in particolare della sua politica economica ? che parte subito dopo l’Unità ? in particolare per opera degli scienziati ? ha un incedere fatalistico e non mi pare convincente. Soprattutto perché qui manca la base su cui dovrebbe reggersi l’impianto interpretativo: la ricerca parte dal 1935-36, quando il regime si dichiarò autarchico, e non dalle sue presunte origini in età liberale, e neppure dall’avvio del CNR nel ’23 con presidente Volterra che al fascismo rifiutò di giurare fedeltà. In una trentina di pagine (ne seguono altre 300) si dice delle Premesse all’autarchia, a partire da La scienza italiana dopo l’Unità fino al fascismo in appena 8 pagine le quali sono la sintesi, come l’autore dichiara, di precedenti suoi capitoli già a carattere sintetico. I riferimenti fattuali sono ricchissimi relativamente a meno di un decennio dal 1935; ma per il ben più lungo periodo che è decisivo nella tesi dell’autore, il tono assertivo non pare fondato sull’analisi documentaria e non lascia spazio a interpretazioni diverse. Eppure l’occasione per il confronto era delle migliori: qui si ritrovano sul piano della storia della scienza (di cui l’autore è ordinario alla Cattolica di Milano che ha contribuito finanziariamente alla pubblicazione), questioni che la storiografia sul fascismo ? non menzionata ? discute da tanto: il problema delle origini, della continuità o della svolta e parentesi, ma anche l’inopportunità delle dicotomie (consenso/opposizione) qui usate, dopo che sul consenso degli intellettuali e dei ceti professionali, Turi, Isnenghi e altri hanno offerto approcci metodologici articolati e rivelato un quadro di interazioni con lo Stato fascista contraddittorie, non uniformi né stabili. Da quegli studi anche la necessità di distinguere: non alla scienza in generale, ma a quei settori legati alla produzione industriale si riferisce questo libro. L’esclusione dell’agricoltura e delle scienze biomediche ?che pure ebbero un peso importantissimo? (p. 12) nel progetto autarchico (e che male si piegherebbero, per quanto si sa, alle tesi di continuità o di anticipazione), nonché il termine cronologico all’entrata in guerra sono le ?drastiche limitazioni? (p. 12) del lavoro che l’autore dichiara.

Patrizia Guarnieri