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Roberto Marchionatti, Giandomenica Becchio (a cura di) – La Scuola di economia di Torino. Da Cognetti de Martiis a Einaudi – 2005

Roberto Marchionatti, Giandomenica Becchio (a cura di)
?Quaderni di storia dell’Università di Torino? VIII-IX (2003-2004), Torino, Celi

Anno di pubblicazione: 2005

Il volume raccoglie gli atti di un convegno svoltosi a Torino nel maggio 2004. Gli autori sono sia giovani sia affermati studiosi di diverse discipline umanistiche. La tesi dei due curatori e di Angelo d’Orsi, autore del saggio d’apertura, è che sia esistita una vera e propria ?Scuola di Torino?. D’Orsi, che usa il termine in modo ?estensivo?, connette la Scuola al genius loci e cioè alla ?torinesità intesa nel senso migliore? (p. 7), un insieme di caratteristiche intellettuali e ?civili?. Gramsci, secondo d’Orsi, fu allievo di quella scuola ?di rigore e di metodo? (p. 16), i cui maestri erano Cognetti de Martiis, Solari, Mosca, giunti a Torino da varie parti dell’Italia, e il miglior discepolo Einaudi. Nell’introduzione dei due curatori si esplicita il perché si possa usare in modo specifico, in riferimento a ben tre generazioni di studiosi, l’espressione ?Scuola di Torino?: per ?la dimensione spaziale e temporale, la visione culturale, l’elaborazione teorica e metodologica; la presenza di una leadership forte; l’esistenza di canali di diffusione delle idee e dei lavori compiuti; infine la consapevolezza di essere scuola? (p. 12).
La tesi è esposta con una forte adesione ai valori intellettuali e morali attribuiti ai componenti della Scuola, ma il contenuto dei vari saggi non sembra poi convergere in modo così corale e convincente a sostegno dell’enunciato iniziale. Già nel saggio di d’Orsi, per esempio, non sembra risolto il problema dell’ingombrante Loria, che appare senz’altro esterno a quella tradizione ?di rigore e di metodo?. Eppure il suo insegnamento, come si legge anche nel saggio di Carlo Augusto Viano, fu apprezzato significativamente anche dal giovane Einaudi e fu determinante il suo intervento per la carriera di molti componenti di quel ?gruppo straordinario di giovani?, mentre altri, dello stesso gruppo, gli dedicarono, con efficacia, le più feroci stroncature. Un altro esempio, affrontato sia da Luigino Bruni sia da Giulia Bianchi, è la mutevole posizione di Einaudi e della «Riforma sociale» nei confronti di Pareto. I fattori in gioco appaiono molteplici, di ordine teorico e non. Per Corrado Malandrino, poi, rispetto al tema dell’europeismo, non sembra esistere una posizione specifica degli ?economisti torinesi?, al più si può far riferimento al ?gruppetto più avanzato di essi? (p. 125).
L’impressione finale che si ricava è che Torino fu, a cavallo fra XIX e XX secolo, un luogo di particolare vivacità intellettuale, dove progetti e personalità diverse si incontrarono e confrontarono, fuori e dentro l’università. Più difficile cogliere un’unitaria elaborazione teorica e metodologica che possa comprendere l’insieme degli economisti torinesi. Interessante ed esemplificativa della competizione fra progetti diversi è la vicenda narrata da Cristina Accornero all’origine della fondazione del Politecnico. Perdente fu l’opzione di quanti pensavano alla figura di ?ingegneri sociali? e all’insegnamento dell’economia politica come materia non marginale in quel percorso di formazione.

Chiara Ottaviano