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Romano Canosa – Farinacci. Il superfascista – 2010

Romano Canosa
Milano, Mondadori, 372 pp., Euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2010

Il libro narra la vita del gerarca fascista Roberto Farinacci dall’infanzia alla tragica conclusione (fu ucciso dai partigiani mentre cercava di riparare in Svizzera il 28 aprile 1945). Farinacci partecipò alla lotta politica a Cremona, contemperando interventismo e social-riformismo bissolatiano. Il testo descrive l’organizzazione delle squadre nella provincia, grazie alle quali Farinacci divenne un vero e proprio ras. Vengono poi ricostruiti i principali passaggi della sua ascesa nazionale: l’opposizione al patto di pacificazione, l’assalto alla Prefettura cremonese, il contrasto con altre anime del fascismo, il ruolo decisivo giocato durante la crisi Matteotti. Mentre era segretario generale del Pnf (1925-1926), sostiene l’a., Farinacci si presentò come il gerarca che avrebbe «riportato il fascismo alle pure origini» (p. 123). Continuò a descriversi in questo modo anche dopo l’esclusione dalla segreteria, avvenuta quando il duce comprese che il segretario rischiava di «allontanare dal fascismo la massa dei moderati nel paese e mettere a repentaglio il governo e il regime» (p. 141). Seguirono anni di duri contrasti con molti gerarchi, e con lo stesso Mussolini, informato da vari agenti dell’Ovra su ogni mossa del ras. Nella seconda metà degli anni ’30, i rapporti tra i due tornarono buoni e Farinacci fu interprete di primo piano delle politiche del regime, fino all’epilogo di Salò.Il libro è supportato da un ricco ricorso alle fonti. Canosa non indugia in tesi assolutorie, riconoscendo a Farinacci gravi responsabilità in alcune scelte del regime, quali l’avvio della campagna antisemita. Non si confronta, però, con la recente storiografia. Dal 2004 al 2008 sono state pubblicate quattro monografie su Farinacci. Nelle note è citata, una volta, quella di Roberto Festorazzi. La mia e quella di Giuseppe Pardini compaiono solo in bibliografia; quella di Lorenzo Santoro neanche lì. Non c’è traccia dei più importanti saggi sul progetto totalitario fascista. L’analisi del contrastato rapporto con Mussolini si conclude con la constatazione che «se l’atteggiamento di Farinacci nei confronti di Mussolini fu in un certo senso filiale, quello di Mussolini nei suoi confronti fu in un certo senso paterno» (p. 345). Credo, invece, che nei suoi attacchi ad Arnaldo Mussolini Farinacci si difese ferocemente, sapendo benissimo che, da leader dell’intransigentismo, poteva sollevare questioni morali pericolose perché inserite in un regime con ambizioni totalitarie. E il riavvicinamento tra Farinacci e Mussolini non è avvenuto, come sostiene l’a., poiché il primo era «disposto a venire a più miti consigli, anche perché in parte attratto da nuovi interessi (la professione di avvocato, assai redditizia, e le donne, molto disponibili)» (p. 222), ma perché al duce serviva nuovamente il radicalismo (questa volta antisemita, anticlericale, filonazista). I termini totalitario o totalitarismo non sono mai citati nelle ultime pagine del libro, dove vengono riassunti i problemi interpretativi affrontati, e non mi pare che lo siano in quelle precedenti. Assenza grave nella biografia di un gerarca che ha svolto un ruolo così importante nell’affermazione del regime che voleva farsi culto.

Matteo Di Figlia