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Sabina Andreoni – I visitatori dei poveri. Storia della Società di S. Vincenzo de’ Paoli a Roma, vol. II: L’epoca liberale (1870-1914) – 2004

Sabina Andreoni
Bologna, il Mulino, pp. 232, euro 19,00

Anno di pubblicazione: 2004

L’attività dei vincenziani romani è al centro di un volume (il secondo di un più ampio progetto: cfr. «Il mestiere di storico» V, 2004, p. 164) che dà pure dei riferimenti sul ruolo delle conferenze all’interno del movimento cattolico e tenta qualche aggancio con la vita politica italiana contemporanea, in un contesto di mutamento sociale ed ecclesiale. L’orizzonte vincenziano romano si arricchisce così di nuovi elementi, mentre la vita dell’associazione appare più mossa anche per l’utilizzo di una più completa documentazione ecclesiastica e civile. Il problema della povertà assume, infatti, nuove dimensioni per il trasformarsi della struttura della capitale, anche in conseguenza dello sviluppo demografico e urbanistico, in grande mercato di scambio, centro burocratico, turistico e religioso: uno spazio sempre più laico dove l’area classica della beneficenza è destinata a restringersi. Le conferenze assumono i cambiamenti; ad esempio, profittando della riorganizzazione parrocchiale, si identificano sempre più con questa struttura che fornisce loro ulteriori spazi di sviluppo, mentre anche il sistema di finanziamento vede diminuire l’importanza dei singoli benefattori, ancora in maggioranza nobili e professionisti, a favore di istituti come la Cassa di Risparmio di Roma. Centrale rimane, invece, la visita a domicilio; alle iniziative già avviate negli anni precedenti come il Segretariato dei poveri e la Cassa dei fitti si aggiungono però nuove opere (cucine economiche, Patronato dei fanciulli) che, agli inizi del nuovo secolo, arricchiscono un quadro in cui i sodalizi diventano uno strumento di collegamento con altre associazioni cattoliche. Un canale di informazione su scuole, asili, associazioni operaie, cooperative di consumo, orfanotrofi cattolici verso cui indirizzare le famiglie assistite, oltre che un ponte in direzione della pubblica beneficenza, senza dimenticare la funzione di promozione sulle conferenze dell’Italia meridionale e insulare.
Nel corso degli anni si ha così il superamento della diffidenza e dei sospetti, che Porta Pia aveva esaltato, con lo Stato unitario; tramonta perciò definitivamente l’immagine negativa del paolotto a favore della sua fondamentale dimensione assistenziale e caritativa, riconosciuta persino in qualche inchiesta crispina a metà degli anni Novanta, che trova nella legislazione sociale governativa significativi punti di appoggio. Il più disteso clima giolittiano favorisce, inoltre, una diffusione delle conferenze a Roma, dove la progressione anche degli effettivi comincia già negli anni Ottanta, e in Italia. Il distacco dalla politica rimane comunque costante, in evidente contrasto con l’esperienza coeva dell’associazionismo cattolico. L’Opera dei Congressi, favorevole dall’inizio alle conferenze, viste come mezzi positivi per la risoluzione della questione sociale, deve così rinunciare al tentativo, nel 1876, di assorbire i paolotti, che per parte loro continueranno a godere dell’appoggio papale anche dopo la morte di Pio IX.

Raffaele Manduca