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Sabine Berenbeck e Alexander Nützenadel (a cura di) – Inszenierung des Nationalstaats. Politische Feiern in Italien und Deutschland seit 1860/71 – 2000

Sabine Berenbeck e Alexander Nützenadel (a cura di)
Sh-Verlag, Köln

Anno di pubblicazione: 2000

Il volume raccoglie le relazioni presentate al seminario di Bad Homburg (1998) sui riti politici in Italia e Germania, cioè in due stati di recente formazione che hanno conosciuto regimi democratici e dittatoriali. Dall’insieme dei contributi – molti dei quali poggiano su solide ricerche sul campo – emerge, prima di tutto, una difficoltà a costruire feste e riti nazionali che rappresentino un momento di identificazione collettiva sul modello di quanto accade negli Stati Uniti o in Francia. Come ricorda Ute Schneider la data del 18 gennaio era troppo segnata dall’identità prussiana per essere condivisa con entusiasmo nel resto dell’Impero e perciò assumeva maggior significato la meno ufficiale celebrazione della vittoria contro i francesi nella battaglia di Sedan. La festa dello statuto ricostruita da Ilaria Porciani, appare invece segnata da una costante tensione tra autorità civile e religiosa, che si attenua solo dopo la guerra di Libia.
In secondo luogo emerge con chiarezza il nesso tra religione e politica, sia perché spesso occasioni religiose come i funerali assumono rilievo sotto il profilo della legittimazione simbolica di uno stato (Tobia e Ackerman) sia perché in generale i riti di legittimazione impiegano forme di comunicazioni e simboli presi dal linguaggio liturgico e religioso (Porciani). Questa considerazione assume rilievo ancora maggiore se si prendono in esame i regimi fascisti il cui debito nei confronti della religione emerge con chiarezza nei saggi di Roberta Suzzi-Valli sulle organizzazioni giovanili e di Alexander Nützenadel e Sabine Berenbeck sulle ritualità pubbliche. In particolare Nützenadel e Berenbeck, nel ricostruire calendari e forme rituali, rilevano, accanto ad alcune affinità, anche notevoli differenze tra i due regimi riconducibili al fatto che il fascismo operò solo una parziale sacralizzazione della politica e nell’assunzione di elementi religiosi fu influenzato dalla tradizione cattolica, mentre la dimensione religiosa – dotata di caratteri peculiari e distinti rispetto alle confessioni religiose – fu predominante nella ritualità nazista. Nel passaggio dalla prima alla seconda dittatura tedesca Monika Gibas non individua però continuità con il nazismo perché nel ricco calendario festivo della Ddr le forme rituali del regime si riallacciavano alla tradizione prebellica del movimento operaio e al linguaggio propagandistico sovietico.
Infine i saggi sembrano confermare lo stretto legame tra riti di legittimazione politica ed immagine di sacrificio collettivo. La prevalenza del 25 aprile sul 2 giugno o le celebrazioni dell’identità della Bdr affidate all’8 maggio (liberazione) e al 17 giugno (rivolta nella parte orientale di Berlino), al di là delle contingenze esterne che ne determinarono la scelta, rimandano infatti alla memoria di eventi tragici in cui il “popolo” fu vittima e/o artefice di un riscatto segnato dal dolore e dal sacrificio su cui poteva essere possibile fondare la legittimità dei nuovi regimi.

Stefano Cavazza