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Salvatore Sechi – Compagno cittadino. Il PCI tra via parlamentare e lotta armata – 2006

Salvatore Sechi
Soveria Mannelli, Rubbettino, 509 pp., euro 26,00

Anno di pubblicazione: 2006

Da Bologna con furore. Vita dura quella di un anticomunista nella capitale dell’Italia rossa. Soprattutto se non è solo anti, ma addirittura ex. Salvatore Sechi dà sfogo in questo libro a un evidente rancore che sommerge intuizioni storiografiche che avrebbero meritato altro tipo di svolgimento. Il libro raccoglie sei saggi già pubblicati altrove, preceduti da cento pagine di introduzione autobiografica, che è la cosa più nuova e interessante, oltre che indispensabile a comprendere lo spirito che ha mosso l’autore. Racconta la storia di un ragazzo di Sardegna che dopo il liceo, alla fine degli anni ’50, si trasferisce a Torino, fa la vita dello studente fuori sede, attraversa in poco più di dieci anni tutto lo spettro della sinistra vecchia e nuova (dai radicali al PSI a «Quaderni Rossi») per approdare, nel 1969, al PCI. E qui rimane per un altro decennio abbondante, sentendosi però sin da subito ? così almeno ricorda ? un «ospite sgradito». Ne uscirà definitivamente nei primi anni ’80 criticando il partito «da sinistra», ma trovando casa nel PSI di Craxi per poi ricollocarsi, alla caduta di quest’ultimo, sotto l’ombrello aperto da Berlusconi. Un percorso politicamente accidentato ? ma tutt’altro che raro per la sua generazione ? che si intreccia con un curriculum di studioso che parte da una tesi di laurea su Delio Cantimori e la storiografia marxista, con Alessandro Galante Garrone, e si conclude nella Commissione Mitrokhin, con Paolo Guzzanti. In mezzo ci stanno, ben inteso, una carriera accademica brillante e alcuni passaggi di ego-storia rivelatori: decisivo è l’impatto con Bologna negli anni ’70, la progressiva scoperta della sua natura «sovietica» sotto una parvenza di welfare e democrazia, il dissenso rispetto alla linea del PCI sul ’77 e la scomunica, a firma di Renzo Imbeni, che si abbatté su di lui dalle pagine dell’«Unità», raccontata con un pathos che, se non lo collocassimo nel clima di quegli anni, potrebbe essere scambiato per paranoia: «Da altri episodi simili nel corso della guerra di Liberazione avevo imparato quale messaggio conteneva: Sechi non è più dei nostri, fatene carne da porco. Insomma, un invito larvato ai terroristi a levarmi di torno, se credevano» (p. 88). Visse i giorni che seguirono sospettando «di ogni ombra e passaggio furtivo», sgusciando per le strade «con timore e tremore» (p. 89). Poi arrivò la «lapidazione», nella forma di un processo staliniano a porte chiuse che lo convinse a uscire dal Partito, cinque anni più tardi. Al di là di questo saggio di memoria ? che ha criteri di giudizio tutti suoi ? gli assunti storiografici della seconda parte del libro, dedicata a indagare «il volto nascosto» del PCI, sono molto suggestivi ma assolutamente non dimostrati. Perché il ricorso alle fonti è minimo, fragile, occasionale. Il miglior commento al suo lavoro l’ha scritto lo stesso autore in un documento inoltrato l’anno scorso alla lista SISSCO, Sull’impostura ovvero sul funzionamento delle commissioni parlamentari di inchiesta: «Dove sono, infatti, almeno fino ad oggi, gli specifici elementi di prova, i riscontri indiscutibili del funzionamento, cioè dell’operatività del braccio armato messo su dai comunisti italiani?». In questo libro non ci sono.

Alessandro Casellato